Piangere sull'acciaio fallito

Redazione

Le lacrime ipocrite di chi sperava di salvare Ilva per via giudiziaria

Sono ipocriti oltre misura i sindacati e gli amministratori locali tarantini che adesso piangono miseria per la cassa integrazione di circa metà (4.984) dei lavoratori dello stabilimento siderurgico Ilva, oramai in decozione e dove peraltro non sono più rari gli incidenti sul lavoro, per incuria o per distrazione. Per anni i sindacati e gli amministratori locali hanno sperato in un esito miracoloso, è difficile pensare che avessero i paraocchi davanti a un complesso siderurgico da Guerra fredda che andava decomponendosi davanti ai loro occhi: bastava passarci accanto in auto, senza essere maestri dell’antica arte metallurgica. Pochi peraltro s’opposero con la veemenza necessaria al guaio d’origine – un sequestro preventivo del 2012 che ha messo in ginocchio la prima siderurgia a ciclo intergrato d’Europa che ora si sta sviluppando in un processo a singhiozzo e paradossale quanto l’intera vicenda – anzi, la Fiom-Cgil, amica d’ogni giudice, fu l’unica sigla a occupare la fabbrica mentre Fim-Cisl e Uilm-Uil protestavano in città chiedendo (sommessamente) di poter continuare a lavorare nonostante i sigilli. Ora siamo al punto in cui l’Ilva è finalmente pronta per essere (s)venduta come da tre anni cerca di fare la “troika” dei commissari straordinari (Gnudi, Laghi, Carrubba) pagando banche advisor per aiutarli, con soldi pubblici of course.

 

Infatti adesso l’Ilva ha la metà dei dipendenti, il governo Renzi ha garantito che l’Aia (i provvedimenti per ridurre l’impatto ambientale) sarà ammorbidita, e gli ex proprietari espropriati, i Riva, indotti a patteggiare, dicono di poter sborsare 1,4 miliardi di euro (quelli che l’attuale procuratore capo di Milano, Francesco Greco, non riuscì a recuperare: il tribunale di Bellinzona schiaffeggiò la sua elucubrazione giudiziar-finanziaria) grazie a un accordo con le procure di Milano e di Taranto. Bisogna però aspettare il verdetto atteso per oggi della Corte del baliato di Jersey, rifugio fiscale dove le sostanze della famiglia Riva sono depositate in 4 trust, prima che i pm possano proclamarsi “salvatori dell’acciaieria” (quando ne sono i becchini). Forse Ilva verrà rilevata per il poco che vale non dalla cordata tricolore del cav. Arvedi, che minaccia di chiudere la sua Ferriera a Servola, ma – se la Cdp non gioca d’azzardo – dall’attore più importante in lizza: ArcelorMittal. Se va bene. Asciugatevi le lacrime, ve le siete cercate.

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