Edmondo Bruti Liberati (foto LaPresse)

La prescrizione così non va

Annalisa Chirico

Edmondo Bruti Liberati, già padre nobile di Md, spiega perché sulla durata del processo va trovato un punto d’equilibrio. Ma il “lodo Conte” è a rischio costituzionalità

È priva di logica l’idea che i processi possano avere tempi più rapidi solo perché con un tratto di penna si fissa un limite”, Edmondo Bruti Liberati è tranchant sulla riforma Bonafede che mira a sospendere la prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Secondo l’ex procuratore capo di Milano, già padre nobile di Magistratura democratica ed esponente di spicco delle “toghe rosse” nell’epoca aurea del berlusconismo, “la legge Bonafede è passata all’estremo opposto del pendolo”. In che senso? “I rapporti del Greco (Gruppo di stati contro la corruzione, organo del Consiglio d’Europa, ndr) hanno più volte invitato l’Italia ad adottare riforme che evitassero la prescrizione nei processi per corruzione. Questa tormentata vicenda ha inizio con la legge ex Cirielli, così sgangherata da essere stata ripudiata dallo stesso onorevole proponente, forse la più smaccata delle leggi ad personam ma anche la più efficace nel raggiungere lo scopo che si proponeva. Ha costituito un indubbio incentivo a cercare di ottenere la prescrizione in appello con impugnazioni dilatorie”. 


Questa tormentata vicenda ha inizio con la legge ex Cirielli, ma ora è come se il pendolo fosse passato completamente dall’altro lato


 

Ma l’avvocato che tira in lungo va incolpato per questo? “Assolutamente no. Per essere chiari: ove l’obiettivo della prescrizione si presenti come raggiungibile, il difensore ha l’inderogabile dovere professionale di proporre impugnazioni anche al solo scopo dilatorio. Sta al legislatore predisporre contromisure”. La riforma Orlando del 2017, pur con i suoi limiti, aveva previsto una sospensione per un periodo definito dopo la sentenza di primo grado. “Si era compiuto un passo avanti ma poi, senza attendere una sperimentazione, si è passati al blocco totale dopo il primo grado, il che vuol dire che negli uffici giudiziari meno efficienti si può avere un processo oltre ogni limite di ragionevole durata. Questi casi saranno pochi, ma per ciascun imputato quello è il suo caso. La ragionevole durata non può essere certo perseguita con la illusoria fissazione di tempi nei quali le fasi del giudizio dovrebbero concludersi, senza incidere sulle molteplici cause della lentezza”. Il punto è esattamente questo: si possono velocizzare i processi per decreto legge? “Non si può”.

 

Lei è favorevole alla prescrizione processuale che fissi una durata per ogni grado di giudizio. Quali sarebbero le sanzioni per il magistrato che sgarra? “Sanzionare l’ultimo dei cancellieri o il magistrato che rimane con il cerino in mano sarebbe sciocco, prima ancora che inutile e vessatorio. Nella maggioranza dei casi si colpirebbe proprio chi è il meno responsabile del ritardo e ha solo in sorte di aver ricevuto il fascicolo quando i termini stavano per scadere”. Nel marasma che fa ballare la maggioranza, si profila un possibile “lodo Conte” che sospenderebbe la prescrizione solo per i condannati. Ma ciò sarebbe compatibile con il principio della presunzione di innocenza, sancito dall’articolo 27 della Costituzione? “I dubbi di costituzionalità sono fondati. Non credo che questa proposta, come d’altronde quella di un rinvio della efficacia della riforma Bonafede, abbia senso. Occorre andare al nucleo della questione. La politica deve trovare la forza di abbandonare il politichese di ‘chi ci perde la faccia’ e anche quello di chi vuole apporre una bandierina. Non vi è nulla di disonorevole nel rivedere una scelta non sufficientemente meditata, dopo aver preso atto delle argomentate critiche”. 


Molti dei ritardi sono dovuti a cattiva organizzazione, ma Bruti Liberati non crede al “alla figura americana del Court manager”


 

Insomma, il ministro Bonafede dovrebbe fare un passo indietro. “Salvando però quanto di positivo vi era nella ispirazione originaria della riforma: evitare che processi già definiti in primo grado si estinguano senza una decisione di merito, evitare ogni incentivo ad impugnazioni meramente dilatorie. Nello stesso tempo va scongiurata anche la sola ipotesi che vi possa essere per qualcuno un processo senza fine. Si può approvare in tempi brevi una riforma organica ed equilibrata, come da anni proposto da molti giuristi: un tempo per le indagini preliminari, un tempo per l’appello, un tempo per la Cassazione. Contestualmente, non vi è un ‘prima’ e un ‘dopo’, si devono rafforzare le dotazioni umane, magistrati e, soprattutto, personale amministrativo: do atto che il ministro Bonafede, proseguendo nella via aperta dal suo predecessore Andrea Orlando, ha fatto molto. Le statistiche indicano che, a parità di risorse, l’efficienza degli uffici giudiziari presenta inaccettabili disparità: molto vi è da fare anche per i magistrati e, in particolare, per i capi degli uffici”.

 

A ben vedere, la sospensione della prescrizione sembra diventata una misura simbolica in assenza di ricette adeguate per risolvere i nodi organizzativi e ordinamentali all’origine delle attuali lungaggini. “Le faccio un esempio: l’attuale sistema di notifiche sconta appesantimenti forieri di introdurre nullità e nello stesso tempo inefficacia nel raggiungere lo scopo di una effettiva informazione all’imputato. L’avvocatura deve accettare un sistema di notifiche in linea con le innovazioni tecnologiche ormai pacifiche. Come emerge dalle illuminanti riflessioni di un grande giurista, Glauco Giostra, nel suo ultimo libro (Prima lezione sulla giustizia penale, ed. Laterza 2020), il processo penale deve reggersi su un delicato equilibrio tra garanzie ed efficacia. Un processo che non rispetti le garanzie di difesa e la dignità delle persone è incivile e inefficiente. Un confronto propositivo tra magistrati e avvocati può suggerire incisivi interventi sul processo penale eliminando formalità e nullità che non hanno a che fare con le garanzie di difesa”. 

 

 

Il suo auspicio giunge all’indomani di un durissimo scontro tra il consigliere del Csm Piercamillo Davigo e una parte dell’avvocatura. “Davigo ha una rispettabile storia professionale ed è persona integerrima ma le sue ‘gag cabarettistiche’, come le ha definite Luigi Ferrarella, fanno solo danni. Non è efficace strategia comunicativa ma messaggio semplificatorio e fuorviante. Inaccettabile, per altro verso, la pretesa di togliergli la parola. Se si vuole operare per una giustizia migliore non si può prescindere da un dialogo e un confronto tra magistratura ed avvocatura, capaci di superare le rispettive chiusure corporative. Che ciò sia possibile e doveroso lo ha indicato proprio a Milano, nel giorno della clamorosa protesta degli avvocati delle Camere penali, l’intervento pacato e costruttivo dell’avvocato Vinicio Nardo, presidente del Consiglio dell’Ordine”. 


“Il difensore ha l’inderogabile dovere professionale di proporre impugnazioni anche al solo scopo dilatorio”. Ma servono bilanciature


 

 

Lei condivide l’idea di Davigo che gli avvocati d’ufficio compiano più atti possibile allo scopo di aumentare la parcella? “No, ma il sistema attuale di patrocinio a spese dello stato non raggiunge il suo scopo; distribuisce pochi soldi a pioggia e non assicura un’efficace difesa nei casi più delicati”. Sempre Davigo propone che gli avvocati paghino in solido con gli assistiti in caso di ricorsi respinti in appello o in Cassazione. “Non sono d’accordo, anzi mi sembra una inutile provocazione, lesiva del ruolo e della dignità della difesa”.

 

Il procuratore capo di Napoli Giovanni Melillo, nelle vesti di capo gabinetto dell’ex Guardasigilli Orlando, evidenziò il divario di produttività tra uffici giudiziari, a parità di norme e risorse. Quali le cause? “Vi sono ‘sofferenze’ per motivi contingenti ma anche situazioni che si trascinano. Non vale nemmeno rifugiarsi dietro lo stereotipo nord vs. sud. Le peggiori performance delle Corti d’appello sono Roma e Napoli, ma insieme a Torino e Venezia. La situazione è preoccupante e va affrontata anzitutto con una ricognizione molto dettagliata dei dati ad opera del Csm e dell’attuale ministro della Giustizia. Conoscere è la premessa per intervenire e molto si può fare con una stretta collaborazione tra magistratura e avvocatura. In molte sedi i tempi della giustizia penale, soprattutto fino al giudizio di primo grado, sono divenuti accettabili. Rimane aperto il nodo del giudizio di appello”. Un buon magistrato è per forza un buon dirigente? Negli Usa l’organizzazione del lavoro è affidata a un Court manager, laureato in Business administration, non in Legge. “A un buon dirigente si richiedono tutte le doti di un buon magistrato, ma anche qualcosa in più. Il Csm ha una grande responsabilità nella nomina dei dirigenti degli uffici; le scelte non sempre sono all’altezza, ancor più che per deprecate e deprecabili ‘lottizzazioni correntizie’, per sottovalutazione della capacità organizzativa. Si deve anche dire che da diversi anni il Csm e la Scuola superiore della magistratura offrono agli aspiranti dirigenti corsi di organizzazione anche con il contributo di esperti di Business administration. Non credo alla figura americana del Court manager: l’organizzazione non è tutto. La qualità della performance di un ufficio si misura sulla efficienza ma anche sulla efficacia nel perseguire lo scopo del sistema di giustizia che è quello di assicurare diritti alle persone e non ‘movimentare’ fascicoli. E poi gli Stati uniti sono una grande democrazia che, nonostante le contingenze, è sempre un punto di riferimento sotto molti profili, tranne la giustizia penale, il ‘three strikes and you are out’, la pena di morte, il ‘perp walk’”.

 

Dopo lo scandalo delle nomine, il Csm ha assunto rimedi concreti per ridurre il potere correntizio? “Lo scorso 21 giugno il presidente Sergio Mattarella, intervenendo al Csm per la prima volta dopo il cosiddetto ‘caso Palamara’, si era espresso con nettezza: ‘Oggi si volta pagina nella vita del Csm. La prima di un percorso di cui non ci si può nascondere difficoltà e fatica di impegno. Dimostrando la capacità di reagire con fermezza contro ogni forma di degenerazione’. Diversi magistrati consiglieri del Csm e lo stesso procuratore generale della Cassazione, pur non essendo oggetto di contestazioni di rilievo penale, si sono dimessi, con un apprezzabile gesto di responsabilità a salvaguardia dell’istituzione. Come sottolineato dallo stesso presidente Mattarella, è stata un’azione della magistratura a portare allo scoperto le vicende che hanno così pesantemente e gravemente sconcertato la pubblica opinione e scosso l’ordine giudiziario. Ma il monito di Mattarella a ‘voltare pagina nella vita del Csm’, che imponeva ai magistrati italiani di muoversi lungo un percorso di modifica dei comportamenti e di rigore deontologico, rimane attuale”. Intanto la nomina del nuovo procuratore capo di Roma si fa attendere. “Ci auguriamo tutti che l’obiettivo ritardo di questa designazione sia dovuto alla ricerca di un’ampia convergenza e non al perpetuarsi di logiche del passato. Non dimentichiamo che le clamorose vicende che hanno investito il Csm indicano come le peggiori derive sono conseguenza di ambigui occulti rapporti tra ‘notabili’ che si muovono del tutto trasversalmente rispetto a quello che dovrebbe essere l’aperto e trasparente confronto nelle sedi proprie. Il sistema elettorale in vigore, che si proponeva di scardinare il sistema delle correnti, ha ottenuto l’effetto opposto”.

 

Cambiamo argomento: si mette in modo la macchina per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. Lei ritiene che l’esperienza Expo possa essere un modello per coniugare legalità e grandi eventi? “Sì”. All’epoca lei guidava la procura di Milano, e qualcuno le rimproverò una eccessiva collaborazione con il governo presieduto da Matteo Renzi. “Le insinuazioni, in quanto tali, non meritano attenzione. Quel che conta sono i fatti”.

 

L’atteggiamento responsabile e pragmatico della procura rese possibile la realizzazione dell’evento secondo i tempi previsti, pur nel regolare svolgimento di alcune inchieste. “Il modello organizzativo si basava su: indagini tempestive e interventi mirati; no a maxi indagini che portano, come l’esperienza insegna, a maxi polveroni e risultati zero, con ricadute negative per gli indagati, per le aziende e per la credibilità del sistema giustizia; collaborazione stretta, nel rispetto delle rispettive competenze, con la prefettura, per le interdittive antimafia, e con l’allora neonata Anac. Questo schema operativo ha consentito di intervenire in modo mirato ed efficace sulle situazioni illegali (con rapide definizioni in giudizio), consentendo, una volta estirpate le zone infette, di proseguire i lavori e concluderli in tempo nonostante i gravi ritardi accumulati nel passato. Mi lasci richiamare, in proposito, le considerazioni svolte sulle indagini Expo nel Bilancio di responsabilità sociale 2014-2015 della Procura di Milano: ‘La vicenda può suggerire qualche riflessione sul tema oggi attuale del rapporto tra iniziative giudiziarie ed attività economica e tra magistratura ed altre istituzioni dello stato. I tempi della giustizia non sono i tempi dell’economia e delle attività imprenditoriali, ma la giustizia può cercare di adottare tutte le misure organizzative affinché questa distanza si riduca. La Procura di Milano ha svolto il ruolo che le compete di accertamento rigoroso dei fatti di reato. La magistratura penale non deve farsi carico di ‘compatibilità’, ma può e deve operare con scelte organizzative e di strategia di indagine che assicurino la massima celerità, mettendo le altre articolazioni delle istituzioni in condizione di adottare tempestivamente i provvedimenti di loro competenza’”.

 

L’allora premier Renzi elogiò pubblicamente la “sensibilità istituzionale della Procura di Milano”. “E’ una terminologia del tutto adeguata a descrivere un’attività che non ha avuto reticenze, ma con la consapevolezza del contesto in cui operava. D’altronde ho atteso a lungo, e invano, da quei giornalisti investigativi che hanno mosso insinuazioni, l’indicazione di settori critici sui quali vi sarebbero stati elementi concreti per indagare e non lo si è fatto”. Lei ha trascorso quasi mezzo secolo nei ranghi della magistratura, sempre nelle file di Magistratura democratica, la sinistra giudiziaria che oggi sembra attraversare il punto più basso di una storia gloriosa. “Non condivido la sua analisi. Md, sorta nel 1964, propugnava nel documento costitutivo una ‘radicale svolta’ nell’associazionismo giudiziario per rendere realtà i princìpi della Costituzione democratica; ebbe un decisivo ruolo propulsivo nel Congresso di Gardone che tutti riconoscono come uno dei momenti più alti nella storia dell’Anm. Negli scorsi decenni, Md ha saputo rinnovarsi per affrontare i nuovi problemi che man mano si ponevano alla giustizia senza mai smarrire la sua impostazione garantista. Oggi è coinvolta nella formazione di un raggruppamento più ampio, Area democratica per la giustizia, allo scopo di confrontarsi con una magistratura fortemente deideologizzata. Md deve affrontare essa stessa una ‘radicale svolta’ per mantenere, anche con la rivista Questione Giustizia, quel ruolo di stimolo alla riflessione critica con un saldo ancoraggio ai valori garantisti ed emancipatori della Costituzione”. 


Il punto della discussione politica è esattamente questo: si possono velocizzare i processi per decreto legge? Risposta: “Non si può” 


Nel 2016 lei ha ceduto il testimone di via Freguglia a un nuovo procuratore capo, Francesco Greco, tra i massimi esperti di reati economico-finanziari. Greco ha ereditato da lei il piglio del magistrato “politico” nel senso nobile del termine: consapevole del ruolo anche sociale che riveste la guida della procura più importante d’Italia. “Già da sostituto e poi da procuratore aggiunto, Greco ha portato una innovazione profonda nella organizzazione delle indagini su tali categorie di reato, collaborando proficuamente con le strutture specializzate della Guardia di finanza, dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia delle Dogane. Nessuna caccia alla streghe, nessuna bulimia accusatoria ma doverosa tempestività ed efficacia in un settore che in molte altre realtà rimane in difficoltà. E’ un modello organizzativo ormai stabilizzato a Milano con un gruppo di magistrati di elevata professionalità che prenderanno il testimone quando arriverà anche per Greco l’età della pensione”.

 

Del resto, l’ora del ritiro arriva per tutti. “Vi è un tempo per ogni cosa. L’abbassamento dell’età del collocamento a riposo è stata una sacrosanta decisione del governo Renzi, pur se attuata in modo maldestro. Spero proprio che non si torni indietro; abbiamo comunque l’età di pensionamento per i magistrati più alta d’Europa”. Si annoia lontano dalla trincea giudiziaria? “Dopo quasi mezzo secolo di impegno faticoso e affascinante, il mio lavoro non mi manca affatto. Ho molto più tempo per l’attività di studio. Ho pubblicato un libro sulla storia della magistratura, scrivo saggi e vengo chiamato a tenere conferenze, ho ripreso anche i contatti con l’École nationale de la magistrature. E poi, come ogni buon pensionato, porto a spasso ai giardinetti la mia cagnetta Niffi. Non ho tempo per annoiarmi”.