Foto LaPresse

Sulla prescrizione, Renzi e Di Maio provano a indebolire Conte

Valerio Valentini

Le strade dell'ex presidente del Consiglio e dell'ex capo politico del M5s si incrociano sulla riforma Bonafede, ma per ragioni opposte. E il Pd è stufo

Roma. Interrogata dai suoi alleati di governo del Pd tra un vertice di maggioranza e l’altro, Laura Castelli ha subito allargato le braccia: “Io mi occupo di cose economiche, sulla prescrizione sarà Conte a trovare una soluzione”. Parole che, alle orecchie dei democratici, desiderosi di una risoluzione indolore di questa diatriba ormai stucchevole, sono risuonate con l’eco sinistra del ghigno di Luigi Di Maio. Il quale, in un gioco delle parti neanche troppo mascherato, nei colloqui col suo cerchio ristretto di fedelissimi in cui proprio la Castelli ha un posto privilegiato, ha spiegato che sì, “meglio lasciare che sia il premier” a sbrogliare la matassa della riforma della giustizia, oltre a quella sulla revoca delle concessioni autostradali. Con la speranza, malcelata, che in verità su entrambi i fronti Conte ceda alle istanze del Pd: “Così poi Luigi potrà dire – rivelano i suoi confidenti – che da quando lui ha mollato, il M5s si è calato le braghe”.

 

Speranza esattamente opposta a quella coltivata da Matteo Renzi, che sulla prescrizione, ha confermato agli ex amici del Pd Maria Elena Boschi, “stavolta andrà fino in fondo”. In nome, ovviamente, “dei secoli di cultura giuridica”, come lui ripete, ma anche dell’esigenza di iniziare a fare tremare la terra sotto i piedi non solo al Guardasigilli (contro il quale Italia viva potrebbe anche presentare una mozione di sfiducia individuale), ma al premier. Certo, è presto: prima delle regionali di primavera sarà complicato promuovere un cambio di governo. Anche per questo Renzi ha proposta una scappatoia abbastanza facile, e cioè quel “lodo Annibali” che rimanda tutto di un anno. E però, da certi sbuffi di frustrazione dei renziani nei confronti della timidezza del premier, si capisce che le grandi manovre sono iniziate. “Io stento a credere che Conte, una persona equilibrata e colta, sulla prescrizione possa lasciare le cose come stanno – dice Giuseppe Cucca, responsabile Giustizia per Iv al Senato – dopo le proteste di tutti i maggiori avvocati italiani, dopo che il primo presidente della Cassazione Mammone e i presidenti di quasi tutte le Corti d’appello italiane hanno espresso così nettamente le loro critiche”. Anche Cosimo Ferri scuote la testa: “Conte nel governo giallo verde era l’avvocato del popolo, nel governo giallo rosso sono certo che non si ridurrà a fare l’avvocato di Bonafede, ma troverà una soluzione nell’interesse del paese non di una forza politica”.

 

E insomma in questa surreale guerra di tatticismi all’incontrario, dove entrambi i contendenti – Renzi e Di Maio – sperano che l’arbitro designato – Conte – dia ragione all’avversario per poi potere fomentare le proteste dei tifosi, al premier il suo studio di Palazzo Chigi deve apparire sempre più angusto, come in uno di quei film horror dove le pareti della stanza si avvicinano. Anche perché, nel fuoco incrociato tra M5s e Iv, quelli del Pd iniziano a stancarsi di dovere essere “i pretoriani del presidente”. E infatti Enrico Borghi non nasconde la sua insofferenza: “Il Pd, si sa, è un partito responsabile. Ma se il premier non riesce a persuadere il M5s alla ragionevolezza, non può illudersi che noi ci trasformiamo nel partito di Conte, non possiamo essere noi gli unici suoi difensori”. Segno di come tra i riformisti del Pd inizi a montare un certo malumore, sul tema: “Non è possibile che quelli che ogni volta attaccano Renzi siamo noi”, è sbottato Emanuele Fiano durante la riunione della corrente gueriniana una settimana fa. “E sulla prescrizione – rilancia Alfredo Bazoli, capogruppo del Pd in commissione Giustizia alla Camera – sono tre mesi che chiediamo, invano, un ravvedimento ai nostri alleati. Adesso basta. E’ chiaro che il premier dovrebbe spingere il suo Guardasigilli a fare un passo, a rilanciare apportando delle modifiche aggiuntive al ‘lodo Conte’ che non è ancora sufficiente, ma è comunque un punto di partenza. A quel punto toglierebbe gli alibi a tutti, compreso Renzi”.

 

Ma finché quel passo Bonafede non lo fa, non potrà certo essere il Pd a difenderlo. Specie ora che anche nel M5s iniziano a diffondersi le voci critiche. Come quella della deputata Piera Aiello (“Troviamo una soluzione giusta, anche a costo di un rinvio”), o quella di Roberto Cataldi, deputato ascolano, civilista arruolato da Di Maio tra le “supercompetenze” nel 2018 e portato in palmo di mano, due anni fa, dallo staff di Casalino che lo magnificava come “la Bibbia del diritto sul web”. Lo stesso Cataldi che ora dice che “l’idea di sospensione della prescrizione sine die è indifendibile”, che se passasse la riforma “gli innocenti rischierebbero di subire un tormento vita natural durante insieme alle loro famiglie” e che “la giustizia ha bisogno di interventi chirurgici, non di colpi di mannaia. E invece quello di Bonafede è l’intervento di chi, per togliere un neo dalla mano, tronca di netto il polso al paziente. Un ministro della Giustizia non può varare una riforma che gli metta contro buona parte dei magistrati e tutto il mondo dell’avvocatura”.