"To be or not to be", un graffito di Edgar Jiménez a Porto, Portogallo

La prescrizione spiegata con Amleto

Giuliano Ferrara

Shakespeare aiuta a capire perché è meglio un compromesso degli spettri

Io non sono molto intelligente, ma abbastanza per sapere che in caso di rottura insanabile sulla questione della prescrizione e poi di elezioni (voto subito! voto subito!) la coalizione dei prescrizionisti avrebbe qualche difficoltà a prevalere, diciamola così. Sono quasi trent’anni che questo paese si è voluto formare ai princìpi sacri del diritto recitandosi ad altissima voce, ladri e impuniti compresi e in prima fila nel coro, la filastrocca del “tutti ladri, tutti impuniti”. Spiegare adesso che lo stato ha il dovere, cui corrisponde un diritto della persona, di assicurare secondo Costituzione la durata certa di un giusto processo, con tutti questi innocenti che la sfangano peggio dei colpevoli, almeno secondo i davighi, non mi sembra il compito più facile e scontato. Non faccio previsioni elettorali, a parte lo Iowa, ma un match “prescrizione contro processo fino a sentenza (di condanna) avvenuta” sarebbe come un Ferrara vs Federer (0-6, 0-6, 0-6), e sì che mi alleno da anni due ore al giorno.

 

 

Amleto invece era una persona molto intelligente, quali che fossero le sue ragioni nella contesa dinastica danese e le sue vessazioni nei confronti di Ofelia. E’ noto anche ai meno dotati, compresi alcuni che considerano il Foglio un notorio giornale antisemita, che Shakespeare conosceva il mondo. Il compianto George Steiner, e mi domando che cosa ci rimanga dopo la sua morte e quella di Harold Bloom, osservava che “l’inventario di esperienza di Shakespeare è ritenuto, giustamente, insuperato”.  

 

 

Al suo sguardo non sfuggivano, elenca ne “La lezione dei maestri”, il medico, l’avvocato, l’usuraio, il soldato, il navigatore, il veggente, la puttana, l’ecclesiastico, il politico, il falegname, il musicista, il criminale, il santo, il contadino, il venditore ambulante, il monarca. Gli era rimasto nella penna il magistrato, forse perché alle sue latitudini poliglotte non era noto l’italorum stentato dei davighi. Ma è solo qui il punto, la conquista del tempo infinito da parte del pm e del giudice. E’ questo “the rub”, l’incaglio contro cui si sfracella la barca della giustizia con la sospensione ad libitum del tempo di persecuzione in giustizia.

 

 

 

Nel suo celebre monologo, to be or not to be, conosciuto anche dai meno dotati di cui sopra, la coscienza del principe Amleto si dibatte intorno alla scelta migliore: combattere o morire. E se poi morendo, dormendo, sognando forse, ci capitasse oltre la morte di rivedere le immagini spettrali dei davighi? “E’ questo il dubbio che dà una vita così lunga alla nostra sciagura”, che ci trattiene dal pugnalarci al cuore. Fossimo sicuri di non rivederli più, dico gli spettri, abbrevieremmo il tempo di prescrizione della vita, dice Amleto. Ci daremmo un colpetto ben assestato per non dover sopportare, nell’ordine: le frustate e le ingiurie del tempo (vecchiaia, malattia), il torto dell’oppressore (un eventuale governo Salvini), l’oltraggio del superbo (un nomignolo affibbiatoci dall’Arancione), le angosce dell’amore disprezzato (le corna, i rifiuti), l’insolenza dell’autorità (lo stato fiscale), le umiliazioni che il merito paziente riceve dagli indegni (gli stipendi dei ricercatori), e infine, udite udite elettori del voto subito, “the delay of the law”, le lentezze della legge, il diniego di giustizia, la sospensione della prescrizione.

 

Questo non è un corsivo, è un’elegia disperata. Vorrei che la maggioranza dei compatrioti sapesse che il Bardo metteva “la lentezza della legge”, che solo la prescrizione può curare in linea di principio e di diritto, sullo stesso piano di vecchiaia, malattia, sopruso, oltraggio, angoscia del diniego d’amore, insolenza dei forti e umiliazione dei deboli: vorrei, ma ho il sospetto che non solo la maggioranza non lo sappia, dubito che lo voglia sapere. Ragion per cui, pur non essendo mai particolarmente eccitato dalle scelte politiche di Zingaretti, mi domando se non sia opportuna la ricerca di un compromesso al posto dell’ennesimo “voto subito!”. Moriremmo tutti, d’accordo, ma se poi in sogno tornassero anche gli spettri?

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.