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la lettera

Rinunciare a qualcosa. Compromessi per una pace duratura

Antonio Padoa-Schioppa

Crimea e Donbas alla Russia e Ucraina nell’Ue. La proposta di un europeista controcorrente, a cui risponde il direttore Claudio Cerasa

Un intervento attivo dell’Europa potrebbe risultare addirittura decisivo nell’intraprendere il necessario percorso di uscita dalla guerra russo-ucraina. Va sottolineato anzitutto che il rapporto con l’Unione europea è della massima importanza per entrambe le parti in conflitto. Per l’Ucraina la priorità dell’ingresso nell’Unione è massima, dopo che questa prospettiva si è aperta in tempi rapidissimi in seguito all’aggressione di Mosca; ma richiederà la messa a punto di complesse trattative nonché dei tempi necessari per l’adeguamento alle condizioni economiche, giuridiche e istituzionali imposte dai trattati: un percorso non facile. Ciò significa che una pressione europea per indurre Zelensky a un compromesso accettabile sui confini con la Russia non potrà non avere un grande peso. Per la Russia, le relazioni economiche, commerciali e finanziarie con l’Unione sono state, sono e resteranno della massima rilevanza, data la fondamentale complementarietà dei rispettivi interessi, anche se l’Europa sta giustamente (anche se tardivamente) operando per diminuire drasticamente la propria dipendenza energetica da Mosca.


Un compromesso conviene a entrambe le parti in conflitto, perché le due posizioni estreme sono ormai entrambe impraticabili. La Russia ha fallito, grazie all’eroica resistenza del popolo ucraino, il tentativo brutale di annettersi l’intera Ucraina. Il governo di Kyiv a sua volta non può realisticamente puntare sul recupero dell’intero territorio occupato dalla Russia, né sulla Crimea né sulle due provincie del Donbas. Il punto di equilibrio va individuato nei confini rispettivi; se l’estensione della conquista territoriale da parte di Mosca giungesse sino ad Odessa, questo confine certamente sarebbe inaccettabile per l’Ucraina, ma a questo punto fare regredire l’esercito russo non sarebbe, altrettanto certamente, facile; per questa ragione, potenziare ulteriormente nelle prossime settimane la resistenza ucraina così da impedire la conquista di Odessa è essenziale. 
Un compromesso ragionevole sarebbe quello che riconoscesse – in seguito però all’esito di due referendum – la sovranità russa sulla Crimea e l’indipendenza (non l’annessione) delle due province del Donbas; un’ulteriore estensione verso la Crimea costituirebbe un tema cruciale delle trattative, in cui in linea di massima l’opposizione ucraina sarebbe giustificata, forse con minori aggiustamenti collegati con altri aspetti della trattativa. Per la Russia il riconoscimento della conquista della Crimea e dell’indipendenza del Donbas sarebbe una grande vittoria, perché verrebbe sanata la condanna, giuridicamente ineccepibile ma politicamente onerosa, della comunità internazionale  per l’occupazione illegale del 2014 e per l’aggressione ingiustificabile compiuta con la guerra in corso. Inoltre, la firma dell’accordo potrebbe (anzi dovrebbe) accompagnarsi con la revoca in termini brevi delle pesantissime sanzioni economiche e finanziarie decretate a suo danno dall’occidente (ma non, ricordiamolo, né dalla Cina né dall’India). Per l’Ucraina, a sua volta, il compromesso costituirebbe una grande vittoria per la prospettiva concreta del suo ingresso nell’Unione europea e per il rinnovato riconoscimento della sua sovranità, garantito internazionalmente, oltre che dall’Europa, da Usa, Cina, India nella cornice delle Nazioni Unite. E questo, anche se venisse dichiarata la neutralità di Kyiv e la sua non appartenenza alla Nato.


C’è di più. Anche per gli Stati Uniti un compromesso di questa natura costituirebbe un risultato del massimo rilievo. E’ infatti ormai chiaro, anche  nell’opinione più avveduta degli osservatori d’oltreatlantico, che la pretesa di mantenere un’egemonia globale da parte degli Usa è fuori dalla realtà del mondo attuale; volerla perseguire ha il solo effetto di coalizzare le resistenze del resto del mondo, Europa inclusa. Inoltre l’ascesa della potenza cinese può essere in pari tempo ammessa ma anche contenuta economicamente e militarmente  solo nell’ottica di una politica multilaterale nella cornice delle Nazioni Unite, a loro  volta sicuramente da riformare, come intellettuali di prestigio (mi limito a menzionare Jeffrey Sachs, 2020 e Samuel Moyn, 2021) hanno ripetutamente sottolineato. Solo in tale quadro gli Stati Uniti potranno mantenere un ruolo fondamentale a livello globale in virtù  della loro straordinaria dinamicità economica, scientifica e culturale, della quale il mondo di domani avrà certamente bisogno, in pari tempo dedicando meno risorse agli armamenti e molte di più alla politica ambientale e sociale; né va dimenticato che la stessa loro democrazia oggi è a rischio come forse mai nel passato. Non va mai dimenticato che di fronte alle sfide globali che minacciano il mondo di oggi e di domani e la stessa sopravvivenza dell’umanità – dal clima alle pandemie, dalla guerra nucleare al crollo della biodiversità – solo una strategia globale  e multilaterale che includa e induca a cooperare stati e regimi anche molto diversi entro la cornice dell’Onu può avere speranza di successo.
Infine, l’Europa. Il compromesso di cui si è detto sarebbe una grande vittoria del Vecchio continente. A una condizione, però, che l’Europa parli e agisca unitariamente, con una voce sola: almeno i governi di Francia (la Francia di Macron), Germania e Italia debbono procedere d’intesa. In questa prospettiva si avvicinerebbe il completamento del disegno (del sogno; ma talvolta le utopie si realizzano, la storia lo dimostra) di  unione  politica avviato alla fine della Seconda Guerra Mondiale e perseguito senza soste da allora. Di fronte alla gravissima crisi in atto, proprio l’Europa potrebbe indicare la via d’uscita, promuovendo una conferenza internazionale sul modello di Helsinki, come il nostro presidente della Repubblica ha giustamente auspicato. Last but not least, l’Europa potrebbe in tal modo invertire il corso di un’emergenza economica sinora a torto sottovalutato, ma tale che si prospetta come di assoluta gravità anche sociale.  Un compromesso win-win, in cui nessuno perde e tutti guadagnano è impossibile? No, esso sarebbe la conferma della legge di Cipolla, che definisce così le scelte intelligenti. 


Naturalmente, nella storia nulla si fa senza il contributo di quella che Machiavelli chiamò la “fortuna”, senza la quale anche la “virtù” è impotente.  La crisi ha già rafforzato la spinta a superare i vincoli  che paralizzano ancora l’Unione. Una difesa comune, una comune politica dell’energia, una comune politica sanitaria richiedono non solo l’avvio di un potere fiscale europeo ma  il superamento del potere di veto e l’estensione del potere di codecisione del Parlamento europeo ai fini di una corretta legittimazione democratica, oggi  ancora solo parziale. Occorre rivedere i trattati su questi punti cruciali, anche a costo di procedere  intanto solo con quegli stati dell’Unione che lo vorranno, a partire da Francia, Germania, Italia e Spagna. 
La Conferenza sul futuro dell’Europa ha riunito per un anno rappresentanti del Parlamento europeo, dei parlamenti nazionali, dei governi, della Commissione Ue e di centinaia di cittadini estratti a sorte, di ogni età e strato sociale, con una larga presenza di giovani. La Conferenza si conclude questo 9 maggio, giorno dell’Europa, con l’approvazione di un documento profondamente innovativo che ha indicato, tra gli altri, proprio tali obbiettivi di riforma. Una Convenzione richiesta espressamente dal Parlamento europeo il 4 maggio potrebbe e dovrebbe promuoverne l’attuazione entro la prossima legislatura europea che inizierà nel 2024.
Anche a questo fine, occorrerà senza dubbio il concorso della “fortuna” e della “virtù”.

Antonio Padoa-Schioppa,  
professore emerito di Storia del diritto medievale e moderno


 

La rottura di ogni regola faticosamente raggiunta nella vita della comunità internazionale non può spingere verso una rassegnata resa alle ragioni dell’aggressione, sollecita piuttosto la capacità di stati eretti da ordinamenti liberi e democratici ad attivare ogni iniziativa per far fallire queste ragioni”. Questa frase tra virgolette, caro professore, l’ha pronunciata la scorsa settimana il capo dello stato, Sergio Mattarella. E’ possibile che lo scenario da lei descritto si realizzi, naturalmente. Ma dovesse succedere, dovesse cioè la comunità internazionale dare la Crimea alla Russia e riconoscere l’indipendenza del Donbas dimenticando cosa significhi occupare un pezzo di paese in violazione del diritto internazionale. Dovesse succedere tutto questo, ciò che lei definisce come un passo verso la pace somiglierebbe di più a un passo verso la resa. Grazie e un caro saluto.

Claudio Cerasa

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