L'epocale crisi economica di cui i russi ancora non si rendono conto

Luciano Capone

Le sanzioni fanno calare il prezzo del petrolio russo, ridurre le vendite, diminuire la produzione, contrarre la domande interna, chiudere le fabbriche. il Cremlino prevede un crollo del pil del 10%, ma con l'embargo dell'Ue può arrivare al 15%. È una crisi profonda e strutturale, simile al crollo dell'Urss

L’economia russa sta male e ancora non se n’è accorta. A un primo sguardo, come ripetono i molti che descrivono l’inefficacia delle sanzioni, può sembrare che la Russia si sia adattata alle restrizioni economiche imposte dai paesi occidentali dopo l’invasione dell’Ucraina. Il rublo, che nei primi giorni di guerra era crollato del 40%, ora è tornato ai livelli precedenti. E la Banca centrale russa, che aveva in un colpo solo alzato i tassi d’interesse al 20% per arrestare la fiammata inflattiva, ha poi fatto due tagli prima al 17% e poi al 14%. Inoltre, proprio a causa della crisi geopolitica, l’impennata dei prezzi di gas e petrolio continua a riempire i forzieri del Cremlino. Per giunta, non c’è stato ancora un default né dalle principali città russe arrivano immagini con le file davanti ai negozi o con gli scaffali vuoti.

 

In realtà, gli scricchiolii nella Fortezza Russia iniziano a essere già evidenti, anche perché le conseguenze economiche delle sanzioni tendono a manifestarsi con un leggero ritardo rispetto ai tempi di adozione. Un primo segnale importante arriva dal petrolio, che rappresenta la principale voce dell’export russo e la più importante voce nel campo delle entrate del bilancio federale. Mentre l’Unione europea sta discutendo, non senza difficoltà e divisioni sui tempi e sulle modalità per arrivare a un progressivo embargo del petrolio e dei prodotti derivati russi, le attuali sanzioni stanno già producendo un effetto. Il ministero delle Finanze russo ha comunicato che il prezzo medio del petrolio degli Urali nel mese di aprile è stato di 70,5 dollari al barile, solo 8 dollari in più rispetto allo scorso anno. I 70 dollari al barile di aprile sono circa il 20% in meno della media gennaio-aprile (85 dollari), segno di un declino improvviso del prezzo. Vuol dire che già le sanzioni attuali stanno costringendo Mosca a vendere a sconto di 35-40 dollari rispetto al Brent.

 

All’effetto sul prezzo va aggiunta una riduzione dei volumi, dato che i mercati asiatici non sono in grado di assorbire la riduzione della domanda europea, che porterà a un calo della produzione di 2-3 milioni di barili al giorno. Il ministro delle Finanze Anton Siluanov prevede un calo del 17% della produzione, che la porterebbe al livello più basso da 18 anni. Anche il carbone sta seguendo lo stesso trend: ad aprile le esportazioni sono crollate del 20% (il 9% da inizio anno), a causa del calo degli acquisti in Europa e dell’impossibilità logistica di dirottare le vendite in Asia. Questo ha una ricaduta sulle entrate. Secondo i dati, diffusi ieri, del ministero delle Finanze i ricavi di aprile di gas e petrolio sono stati di 133 miliardi di rubli in meno: secondo le stime preventive l’eccesso dei prezzi energetici rispetto al livello base avrebbe dovuto far fruttare 414 miliardi di rubli ma ne sono entrati nelle casse solo 281 (un terzo in meno).

 

Dati negativi arrivano, chiari, anche dal mercato interno. Sempre nel mese di aprile sono crollate di un terzo le vendite di automobili rispetto al mese di marzo, che già era stato disastroso. Nel settore automobilistico si è fermata la domanda, vista la situazione di crisi, ma si è arrestata anche l’offerta visto che a causa delle sanzioni l’industria ha dovuto bloccare la produzione per mancanza di componenti occidentali. Nel settore dell’abbigliamento, anche per via della chiusura delle grandi catene internazionali, le vendite si sono ridotte del 25%. Questo, inevitabilmente, porterà a un aumento della disoccupazione che si manifesterà nei mesi estivi.

 

Il Cremlino sta preparando un budget, il nostro Def, prevedendo un -10% del pil, il più grande crollo degli ultimi 28 anni. Ma potrebbe essere una stima ottimistica, anche perché non tiene conto delle nuove sanzioni sul petrolio. Secondo le stime di diversi economisti e istituzioni internazionali, la Russia potrebbe perdere quest’anno anche il 15% del pil. Non si tratta di una forte recessione, ma della crisi più profonda degli ultimi 30 anni per la Russia, molto più simile alla crisi di trasformazione dopo il crollo dell’Unione sovietica nel 1992 che al default del 1998.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali