(foto LaPresse)

Trump dichiara guerra al “virus straniero”

Paola Peduzzi

L’America chiude all’Europa. Crollano i mercati: vogliono un’azione globale

Milano. Il coronavirus è già arrivato negli Stati Uniti, i contagiati aumentano anche se non esistono dati comparabili con quelli raccolti con rigore dall’Italia, ma il presidente Donald Trump continua a trattare la pandemia come se fosse un problema di altri paesi, da cui difendersi. Anzi: un attacco straniero. “L’Unione europea – ha detto il presidente americano in un messaggio dallo Studio Ovale a reti unificate mercoledì sera – non è stata in grado di prendere le stesse precauzioni” degli Stati Uniti nel contenimento del contagio di questo “virus straniero” che sta mettendo a repentaglio il popolo americano. Come abbiamo fatto con la Cina, ha detto il presidente, faremo con gli europei: non permetteremo loro di metterci in pericolo, “il nostro sarà lo sforzo più aggressivo e più completo della storia moderna per sconfiggere un virus straniero”. Trump non ha dato molti dettagli, ha detto che dal divieto sono esclusi Regno Unito e Irlanda (dove ci sono contagiati) e ha fatto intendere – poi prontamente smentito dal dipartimento del Commercio cui dev’essere preso un colpo – che il divieto di circolazione potesse riguardare non soltanto le persone, ma anche le merci. Il risultato: panico, un altro crollo dei mercati.

 

Trump e i trumpiani si sono accorti che il coronavirus non è una semplice influenza, hanno annunciato di voler adottare misure “very dramatic” ma continuano a trattare la pandemia come un complotto ai propri danni e ai danni del popolo americano – un complotto cinese, un complotto europeo e ovviamente del Partito democratico, il nemico interno. Cioè un attacco da strumentalizzare in modo politico, noi contro di loro: mentre tutti i paesi vanno alla ricerca di unità e di senso civico, l’America di Trump si mette in assetto da guerra – per combattere la guerra sbagliata, visto che il virus è già dentro al paese. Al Congresso – che è stato chiuso al pubblico fino al primo aprile – è allo studio un pacchetto di assistenza economico-sanitaria voluto dai democratici: l’obiettivo è sostenere il sistema sanitario nazionale, le aziende e i lavoratori che si trovano in difficoltà e aiutare a dare una dimensione al contagio con test e controlli. In questi giorni sembrava che i repubblicani avrebbero approvato il piano senza troppe discussioni – è un’emergenza globale – ma poi è presto iniziata l’opposizione, che si fonda sul fatto che i democratici stiano tentando di inserire modifiche “socialiste” al sistema del paese, con lo scopo di renderle permanenti. Il sospetto politico, il sospetto del complotto: il tratto predominante del trumpismo è sempre lo stesso, e in questa crisi si evolve in un esperimento politico ulteriore: alcuni sostenitori del trumpismo dicono che questo è il momento di testare il modello “America first”, l’esclusione del mondo ostile. Mentre la pandemia non conosce confini, l’Amministrazione Trump li vuole definire e segnare in modo sempre più esplicito; mentre tutti dicono che o il contagio è combattuto a livello globale o non è combattuto, l’Amministrazione Trump decide di sottovalutare il rischio interno, lasciando all’iniziativa locale la responsabilità del contenimento – è pur sempre l’Amministrazione il cui presidente fino a qualche settimana fa definiva il coronavirus “una bufala” e che si presentava al pubblico come un “talento naturale” nell’affrontare le emergenze sanitarie. Come ha ricordato Tom McTague sull’Atlantic in un articolo che racconta la strumentalizzazione ideologica della pandemia, nel 2008 l’America e il Regno Unito si posero come leader nella gestione della crisi economica globale. Oggi l’approccio è del tutto diverso, la leadership non si vede e anzi se proprio si deve vedere qualcosa è la volontà di utilizzare la pandemia come una conferma – abbiamo fatto bene con la Brexit, abbiamo fatto bene con l’“America first”, chiusi si sta meglio.

 

Solo che non è così, soprattutto se si sta chiusi in un posto – un paese – che è già contagiato: lo stesso Trump ha detto che farà il test, e ieri un funzionario brasiliano che è stato a Mar-a-Lago nel fine settimana scorso è risultato positivo. Mentre molti cittadini americani in Europa si sono precipitati ad acquistare voli dai prezzi stellari per tornare al più presto in America (anche se non ce n’era bisogno, ma Trump non ha fornito dettagli e sappiamo bene in Italia che cosa accade quando si dice “divieto” ma non si specificano i termini), gli amministratori locali negli stati stanno prendendo iniziative molto drastiche per provare a contenere i contagi. Ma l’esperienza europea – perché nessuno la guarda? – mostra che senza collaborazione e coordinamento non c’è modo di fermare la pandemia: se uno stato va in lockdown e quello di fianco no, il contagio non si bloccherà, e nemmeno il panico che continua a mettere sotto pressione i mercati.

 

Le epidemie globali si combattono con un approccio globale e coordinato. Trump ha scelto ancora una volta la non-collaborazione e cerca la responsabilità altrove, presso i paesi stranieri ostili – compresa l’Europa – adottando un metodo che finora è stato tipico di paesi come l’Iran che accusa sempre i “terroristi all’estero”: ieri le immagini satellitari mostravano un allargamento molto visibile del cimitero di Qom, il cuore del regime islamico d’Iran.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi