Cattivi perdenti

Daniele Raineri

Sanders non molla ancora, ma questa volta dovrebbe fare meno danni che nel 2016 contro Hillary

Roma. Quando ieri il senatore Bernie Sanders ha annunciato che avrebbe parlato a metà giornata si è pensato che questa volta i democratici forse si sarebbero risparmiati il drammone e la spaccatura generazionale che quattro anni fa resero molto amare le primarie. Vedi mai che si arrenda dopo le sconfitte super di martedì scorso e di due giorni fa, ceda il ruolo di sfidante a Joe Biden, faccia come tutti gli altri candidati e si ritiri al momento giusto invece che continuare la lotta. Facesse così, alzerebbe le probabilità di battere Trump a novembre perché meno dura lo scontro dentro i dems e più l’elettorato democratico si presenterà compatto contro il presidente in carica. Invece Sanders ha parlato per dire che resta e si è anche intestato la rappresentanza dei giovani americani. Votano me, ha detto, vogliono votare me e le mie idee e siccome loro sono il futuro il Partito democratico non può permettersi di ignorare il futuro. E quindi ha scelto il solito schema d’attacco che piace moltissimo ai suoi sostenitori: l’establishment democratico vi vuole fregare, sono tutti contro di noi perché vogliono fermare la nostra rivoluzione, è tutta una lotta fra me e chi vuole conservare le cose come stanno. In realtà i giovani votano poco anche Sanders, è proprio questo uno dei suoi punti deboli, fare affidamento su una fascia di elettori che però non riesce a entusiasmare davvero e a portare ai seggi. Se davvero riuscisse a scaldare i giovani, non sarebbe così indietro rispetto a Biden. 

  

Eppure a dispetto del fatto di essere rimasto indietro nella conquista dei delegati e del fatto che nelle ultime tre votazioni in Michigan, Missouri e Mississippi non sia riuscito a vincere nemmeno una contea – persino Alexandria Ocasio-Cortez, che è la sua sostenitrice più influente, ha ammesso che è stata una disfatta – Sanders ha sostenuto nel suo discorso che è lui che in realtà sta vincendo, perché ha vinto il “policy debate”, quindi la discussione sul programma politico, e il “generational debate”, quindi avrebbe in tasca la generazione che conta di più.

 

Il senatore non scende in attacchi personali contro Biden, lo chiama “il mio amico” e si prepara a misurarsi contro di lui nel debate di domenica a Phoenix, in Arizona. Ci pensano però i suoi, i Bernie Bros, la fratellanza militante che brucia d’ardore per Bernie, a demonizzare il rivale politico e a massacrare – a parole – chiunque fra i democratici prenda posizione a fianco dell’ex vicepresidente. Una delle caratteristiche di questa campagna è la virulenza degli attacchi dei sandersiani contro gli altri candidati e ora che il senatore ha annunciato la continuazione della campagna pur da una posizione di grande svantaggio vedremo un aumento dell’intensità. Demente, pedofilo, rincoglionito, uomo del sistema, corrotto, molestatore sessuale, distruttore di speranze, razzista, sono soltanto alcune delle cose che partono in queste ore a raffica contro Biden, soprattutto sui social media. Il rischio è che vada a finire come nel 2016, quando la base di Sanders era troppo piccola per fargli vincere le primarie ma era così fedele al suo beniamino da non riuscire a rassegnarsi a votare Hillary Clinton alle elezioni generali di novembre contro Trump. Per ora gli exit poll dicono che non è così, ci sono più elettori democratici disposti a votare il vincitore delle primarie – chiunque esso sia – per sbattere Trump fuori dalla Casa Bianca, rispetto al 2016.

 

Biden è in vantaggio e come strategia per finire le primarie ancora in testa può ignorare gli attacchi dei Bernie Bros e spostare tutta l’attenzione sulla fase successiva, lo scontro diretto contro Trump – che è un argomento fortissimo fra gli elettori democratici. In questo non è cambiato molto dall’inizio della corsa, quando era molto criticato su Twitter e però continuava a essere stabile in cima ai sondaggi. Se riesce a passare indenne in mezzo a questa ultima fase, dovrebbe riuscire a diventare il candidato democratico con un margine molto convincente e a risparmiarsi la rappresaglia degli elettori sandersiani che nel 2016 danneggiò Hillary.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)