Elettori in fila alle primarie democratiche (foto LaPresse)

Covid-19 e le urne

Paola Peduzzi

Quanto pesa l’epidemia sulle primarie dei dems americani? Occhio al Michigan e a chi esce di casa

Il coronavirus sta contagiando i repubblicani al Congresso e alla conferenza dei conservatori (Cpac), il presidente Donald Trump dice che è tutta colpa dei media allarmisti e soprattutto dei democratici, che stanno cercando di usare l’epidemia come arma per affossare un presidente altrimenti inaffossabile – e i democratici oggi hanno un altro appuntamento importante delle loro primarie. Al Congresso, la speaker democratica Nancy Pelosi ha fatto un elenco di misure economiche necessarie per sostenere l’impatto dell’epidemia ma negli stati in cui si vota il dibattito è cristallizzato alla stagione pre coronavirus tanta è l’incertezza: finché c’è da prendersela con Trump è piuttosto semplice, ma trovare una proposta al contempo utile e diversa rispetto a quella dello sfidante interno non lo è affatto. Il mantra “Medicare for all” di Bernie Sanders, senatore del Vermont, fa al contempo sognare e disperare: la copertura medica per gli over 65 in questo momento sembra la salvezza, visto che il virus colpisce proprio quella fascia d’età, ma intanto le Borse crollano e si bruciano miliardi di dollari nel giro di poche ore, chi è che davvero pensa di farcela con un presidente spendaccione, “socialista” come dicono gli avversari? Allo stesso tempo, Joe Biden, il candidato moderato che è diventato l’uomo da battere – in una settimana il verso dell’inevitabilità si è invertito – garantisce pragmatismo e buon senso, buoni strumenti di gestione di una crisi sanitaria, ma sconta il fatto di non essere considerato vicino alle persone – è dell’establishment – in un momento in cui le inefficienze sistemiche degli Stati Uniti in termini di welfare sembrano ancora più grandi, e pericolose.

 

Intanto si vota – e gli assembramenti? e starsene a casa per il bene proprio e della collettività? Oggi ci sono le primarie in sei stati, circa 350 delegati da assegnare: Michigan (125 delegati, lo stato più rilevante di questa tornata), Washington (89), Missouri (68), Mississippi (36 delegati), Idaho (20), North Dakota (14). In Michigan Biden è dato molto avanti rispetto a Sanders, ma molti ricordano che i sondaggi qui tendono a sottostimare il consenso del senatore del Vermont: nel 2016, Sanders vinse questo stato contro Hillary Clinton, benché avesse uno scarto negativo molto alto rispetto a lei, e quella vittoria segnò un punto di svolta nella campagna del senatore. Allora si registrarono in Michigan dei fattori che sarebbero poi diventati cruciali nella sfida contro Donald Trump (allora ovviamente non se ne accorse nessuno): la mobilitazione del voto afroamericano fu bassa, i giovani e l’elettorato indipendente si ribellarono a Hillary, mentre la classe media bianca non andò a votare, abbandonando Hillary e poi anche il Partito democratico – Trump vinse a sorpresa lo stato, di un soffio, il primo repubblicano a conquistarlo dal 1988, quando si impose George H. W. Bush. Ecco perché oggi tutti parlano del Michigan.

 

Sanders ha applicato il metodo di quest’anno: comizio con Alexandria Ocasio-Cortez, la deputata del Congresso che è garanzia di pubblico e di entusiasmo, e un appello al voto giovanile, premessa indispensabile per creare una coalizione di elettori che possa prima portare Sanders alla nomina e poi battere Trump. L’organizzazione creata da Sanders nel 2016 è ancora in piedi, e tutti i reportage dai quartieri generali del senatore del Vermont ripetono la stessa cosa: sottovalutate Sanders a vostro rischio e pericolo. Ma molti strateghi dicono che ormai la campagna si è invertita e che il Michigan potrebbe essere “la tomba” della candidatura di Sanders, come ha detto uno di loro in una conversazione su Politico. Biden sta mettendo insieme elettorato ed establishment, e anche se alcuni gruppi, come gli ispanici, non sono a favore dell’ex presidente, il calendario elettorale non è favorevole per Sanders: due stati con una forte comunità ispanica, Texas e California, hanno già votato (il primo Biden, il secondo Sanders), in Florida si vota tra una settimana, ma qui le dichiarazioni di Sanders su Cuba e le buone cose del castrismo da non scordare sono cascate malissimo. Ci sono però alcune perplessità anche nei confronti di Biden, che in Michigan è stato pochissimo: è stato troppo assente, dicono alcuni. Ma forse è proprio questa la strategia: è Sanders ad avere tutto da perdere.

 

Nello stato di Washington, il secondo più importante del voto di oggi, non si sono presentati da ultimo né Sanders né Biden. I sondaggi sono nel punto morto della statistica, come si dice: 34-35 per cento per entrambi, dentro al margine di errore. In più ci sono stati parecchi casi di coronavirus, ed è stato chiesto agli ultrasessantenni di non uscire. I due candidati sono nella categoria, ma anche molti elettori: l’affluenza potrebbe davvero risentire dell’epidemia, non solo nello stato di Washington, e l’impatto finale potrebbe essere più negativo per Biden, che finora ha approfittato dell’alta affluenza e del voto più anziano.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi