(foto LaPresse)

“Il virus è veloce e le decisioni lente”. Parla Urbano Cairo

Salvatore Merlo

“Governo di unità? Va bene tutto ma ci vogliono scelte severe”. Intervista all'editore del Corriere, di La7, e presidente del Toro

Roma. “Stiamo correndo un rischio folle. Ci vogliono decisioni rapide e severe per fermare il contagio. Va chiuso tutto. Subito. Una quarantena alla cinese. Con i militari e i posti di blocco, altro che autocertificazioni. Stiamo perdendo tempo. Io faccio l’imprenditore, e dico che fermare le attività produttive per un mese è molto meglio che arrivare a Pasqua con un milione di infettati. Allora sì che sarà un collasso, economico, sanitario e sociale”.

 

Urbano Cairo, editore del Corriere, di La7, presidente del Toro, non è precisamente uno di quelli che di fronte al Covid-19 fa spallucce. “Oggi essere ottimisti è fare peccato”, dice. Ma se non si ferma nemmeno il calcio? “Il governo può fare quello che vuole. Può fare dei decreti. Ma di che parliamo? Se l’altro giorno avessero decretato lo stop del calcio, si sarebbe fermato tutto. E sarebbe stato giusto”. E invece? “E invece se non decidono nei ministeri, ci sarà qualcuno che decide al posto del governo. La Lega calcio che vuole giocare, i singoli cittadini che vanno a sciare… Ma il calcio è un dettaglio. Qui c’è un intero paese che rischia. Ieri mi ha colpito avere letto il professor Galli dell’ospedale Sacco di Milano. Spiegava che fin quando non si raggiunge il picco, i contagi raddoppiano ogni quattro giorni. Il virus è veloce, le decisioni invece sono pericolosamente lente”. 

 

Finché non è dilagato in Lombardia, del virus l’Italia ha avvertito nell’aria solo una minaccia confusa, una vaga inquietudine, un turbamento e un presentimento di catastrofe che si sono fatti sempre più forti con l’aumentare dei contagi, con l’allarme degli esperti, con gli ospedali in affanno. “Io non sono un virologo, non sono un medico, non sono uno scienziato, ma ho una certa dimestichezza professionale con i numeri”, dice Urbano Cairo. “E basta guardare il bollettino giornaliero per rendersi conto che siamo di fronte a una mostruosità che ha una velocità di sviluppo e diffusione assolutamente incredibili”.
Quando rilevò La7, che perdeva cento milioni all’anno, Cairo calcolò un salasso di mille euro al minuto mentre si lavava le mani in bagno. Allo stesso modo adesso, con i suoi occhi mobilissimi, che tintinnano come un registratore di cassa, dice in una raffica: “Se l’8 marzo i contagiati erano settemiladuecentocinquanta, significa che ci saranno quattordicimilacinquecento contagiati il 12 marzo, ventinovemila contagiati il 16 marzo, cinquantottomila il 20 marzo, centosedicimila il 24… E così via. A quel punto avremo superato la Cina e per Pasqua saranno un milione. Non dobbiamo nemmeno avvicinarci a una cifra del genere. Stiamo assistendo alle difficoltà della sanità lombarda, che è forse la migliore d’Italia. Vi immaginate che succede quando il virus scende al sud? Non ci voglio nemmeno pensare. Per questo dico che dobbiamo fare come i cinesi. Fermarlo. A Wuhan, l’epicentro del contagio, i nuovi malati sono stati appena 36 l’altro giorno. Le misure prese dalla Cina, che a noi all’inizio sembravano esagerate e poliziesche, hanno pagato. Hanno funzionato. I cinesi hanno tenuto le persone a casa, sul serio. Con un solo famigliare autorizzato a uscire per fare la spesa in negozi riforniti dall’esercito. Meglio un mese così che un anno alle prese con l’emergenza sanitaria”. 

 

Giuseppe Conte ieri su Repubblica ha citato il film su Churchill, “The darkest hour”, l’ora più buia. Un film sul coraggio e la forza anche personale di un capo di governo. “Guardi, qui ci vuole gente che sappia essere dannatamente veloce. Non so come dirlo. Qua non serve a niente citare Churchill. Serve fare le cose che servono, e farle presto. Il virus non aspetta nessuno. E’ un fulmine. Lo ripeto: se è vero che si propaga così velocemente non bastano le mezze cose, le mezze porzioni, le mezze misure, che sono cose da mezze calzette. Se fai un decreto che istituisce una zona rossa, deve essere davvero applicabile. Senza eccezioni. Senza scorciatoie all’italiana. Senza furberie. Le persone devono capire che siamo in uno condizione che rimanda ai tempi di guerra. Io ho una paura dannata invece che la mancata severità di oggi si possa trasformare in un dramma domani”. Forse ci sono cose che le democrazie non possono fare. “Non è così. Della fermezza di oggi ti saranno tutti grati domani. Questa è la verità”.

 

Il governo ha pasticciato con le bozze del decreto che istituiva la zona rossa a Milano. Circolavano ancora prima dell’approvazione. “Guardi, se in quel decreto ci fossero state misure draconiane, non sarebbe nemmeno stata importante la mancanza di riservatezza. La gente scappa? Si istituiscono posti i blocco. Cinture di sicurezza intorno alle città”. Come in Cina? “Proprio come in Cina. E per il bene delle persone e di tutto il paese”. 

 

Churchill, per tornare al paragone fatto da Conte, era il capo di un governo di unità nazionale. In tempo di guerra. La sua forza derivava anche da questo. “Io non so quale sia la formula da adottare: governo di unità nazionale, un commissario speciale, il presidente della Repubblica… Ma qualcuno che decida ci vuole. In Cina c’è un signore che ha deciso, e sembra che le cose stiano tornando normali. E segnalo un’altra cosa, per fare un esempio non così lontano: in Veneto i contagi sembrano rallentare al contrario che in Lombardia”. In Lombardia hanno riaperto Codogno. “Ecco, mi chiedo: non sarà che il Veneto sta facendo qualcosa di diverso?”. Lo dica chiaro: il governo sta sbagliando? “Le misure possono anche essere giuste. Il problema è farle rispettare”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.