I candidati alle primarie democratiche negli Stati Uniti (foto LaPresse)

Come voterebbero i politici italiani se fossero cittadini americani

David Allegranti

Dal Pd a Forza Italia, da Fratelli d’Italia al M5s. Chi preferirebbero alla guida degli Stati Uniti (con sorprese)

Roma. Come voterebbero i politici italiani se fossero cittadini americani? Il Foglio ha interpellato alcuni parlamentari, di maggioranza e opposizione. Nel Pd va forte Joe Biden, ex vicepresidente di Barack Obama. “Come sottolineato da tanti analisti politici, è stato un Super Tuesday politicamente sorprendente. Queste primarie possono rappresentare per il Partito democratico statunitense un passaggio decisivo nella sfida a Donald Trump. Personalmente penso che Joe Biden sia il miglior candidato: la spinta riformista che lui oggi incarna è senza dubbio la risposta più forte ed efficace al sovranismo trumpiano”, dice Luca Lotti, che aggiunge: “Insomma, voterei Biden con convinzione perché penso che la stagione del riformismo debba essere portata avanti al di là degli interpreti. Lui può continuare dove Obama si è interrotto. Poi, se posso, con una battuta direi che il Partito democratico a stelle e strisce dovrebbe giocarsi anche un’altra ulteriore carta per la vittoria finale: mi riferisco all’unità interna. E in questo il Pd di questi ultimi mesi può essere un significativo esempio”, dice l’ex ministro. “Non voterei Trump, avrei grossi problemi a votare Sanders, sceglierei un candidato moderato e riformista come Biden, ancora meglio con il contributo giovane di Buttigieg”, dice Andrea Marcucci. Per Alessia Morani “Biden perché è l’unico che può davvero battere Trump”. “Avevo seguito con interesse la campagna elettorale di Amy Klobuchar, senatrice, donna coraggiosa e molto concreta – argomenta Valeria Valente – Ora che si è ritirata credo che Biden sia il vero candidato che può battere Trump se saprà abbinare una coalizione larga e una proposta di trasformazione sociale in cui molti, soprattutto giovani, sperano”. “Nelle primarie sceglierei Biden perché si sta dimostrando capace di interessare e spingere al voto l’elettorato moderato e forse anche una parte di quello repubblicano che non apprezza Trump. A differenza di Sanders ha la forza di contendere davvero la Casa Bianca a Trump”, spiega Antonello Giacomelli. “Voterei per il candidato che davvero è in grado di vincere: Biden”, dice Valeria Fedeli. “Ero molto interessata a Buttigieg, prima che si ritirasse. Ora come ora, se penso all’obiettivo che abbiamo (sconfiggere Trump) e a cosa sono gli Stati Uniti, credo che non si possa fare altro che sostenere Biden. Senza guadagnare voti anche tra i moderati e chi non si riconosce nei democratici non si vince, e le altre proposte sono troppo radicali per andare oltre gli steccati del campo dei Dem”, sottolinea Caterina Biti. “Io voterei Joe Biden perché non solo ha una grande esperienza che lo rende certamente affidabile, ma anche perché credo sia in grado, più di Sanders, di unire una larga parte del paese per battere Trump”, dice Alfredo Bazoli.

 

Francamente non mi sembrano primarie politicamente appassionanti. Nel senso che temo che Trump possa essere rieletto. Se votassi, tutto sommato, sceglierei Biden, in una ideale continuità con la presidenza Obama e quindi, forse, più competitivo di altri che pure – come Sanders – sono portatori di visioni da non disperdere”, dice Walter Verini. “Ho seguito dall’inizio l’iniziativa di Buttigieg, ora spero che Biden esca forte dalle primarie. Penso che sia lui a questo punto l’unica possibilità. Spero posso costruire una squadra capace anche di dare forti segnali di novità mettendosi accanto le nuove leve dei democratici”, dice Maurizio Martina. “Il mio candidato ideale sarebbe stato Pete Buttigieg. Essendosi ritirato lui credo che il candidato più credibile per sfidare Trump sia Biden, anche se resto convinto che ci serva più sinistra e non meno sinistra per compattare il fronte progressista”, dice Francesco Boccia. “Biden, perché bisogna riconnettere i democratici americani alle esperienze di governo migliori di questi decenni, da Clinton a Obama piuttosto che lasciarsi sedurre da un radicalismo che non ha alcuna possibilità di portare a una vittoria su Trump a Novembre”, spiega Anna Ascani. “Voterei naturalmente per i Democrats. Alle Primarie – nessun candidato mi entusiasma particolarmente – sceglierei Joe Biden, in quanto per storia il più vicino a Obama. Con una battuta direi che non essendosi candidata Michelle, non posso che essere per Joe”, afferma Salvatore Margiotta. “Io voterei Joe Biden, perché lo ritengo, a questo punto, l’unica alternativa progressista e riformista che abbia possibilità di sconfiggere il populismo conservatore di Trump, attirando sia il voto di sinistra sia quello moderato”, dice Emanuele Fiano. “Biden, ovviamente. Per il senso di concretezza e per la capacità di governo reale, per la volontà di contrapporre a Trump una vera coalizione popolare radicata nel mondo reale e non gli slogan roboanti ma vuoti di Sanders, per la volontà di riscattare la credibilità democratica e multilaterale degli Stati Uniti”, spiega Andrea Romano. “Se dovessi fare parlare il cuore forse questo batterebbe per Sanders, un leone di 78 anni che sogna un’America molto diversa. Ma se il problema è battere Trump, forse Biden ha maggiore capacità di unire neri, ispanici, moderati e periferie del nord e del sud, forte anche della eredità di Obama, che è stato molto amato in America e del quale è stato vicepresidente. Spero nella saggezza del popolo americano”, dice Rosa Maria Di Giorgi. “Non so come finiranno le primarie del Partito democratico americano. Ma mi pare notevole il fatto che nei giorni a cavallo del Super Tuesday nel suo settore riformista abbiano prevalso, anche grazie alla spinta discreta ma forte di Obama, il senso di responsabilità e lo spirito di coesione. Questo significano i ritiri prima di Buttigieg e Klobuchar e poi di Bloomberg. La considero una svolta positiva. L’unità di tutti i riformisti a sostegno di Joe Biden è una scelta giusta”, dice Dario Parrini.

 


Lotti (Pd): “Voterei Biden per portare avanti la stagione del riformismo”. Donzelli (FdI): “Trump è l’unico votabile e non è certo il ‘mostro’ che qualcuno vuole dipingere”. Berti (M5s): “Dico Sanders per le sue posizioni sui temi economici”. Calabria (FI): “Auspico una nuova presidenza americana”


  

“‘Anyone but Trump’. Se fossi negli Stati Uniti, più che partecipare alla contesa Sanders-Biden, lavorerei per tenere unito il Partito democratico e i suoi elettori in vista delle elezioni presidenziali. Qualsiasi candidato che esce dalle primarie deve avere il sostegno più ampio possibile perché deve battere Donald Trump. Questo è l’obiettivo”, dice Lia Quartapelle, che aggiunge: “Forse anche perché i candidati che ritenevo più interessanti e versatili, tra l’altro tutte donne, Kamala Harris, Amy Klobuchar e Elizabeth Warren, non sono più in partita. E perché mi pare evidente che le primarie siano solo un primo tempo di una elezione più importante, le presidenziali. E che entrambi i candidati superstiti, Sanders e Biden, hanno punti di forza e debolezza. La debolezza di entrambi è una forma di nostalgia, della campagna per le primarie del 2016, del ciclo presidenziale di Obama. E la battaglia fratricida tra queste sue forme di nostalgia è pericolosissima. Oggi servirebbero soluzioni creative e unificanti, che sanno guardare al futuro, coniugando l’anima liberal e le istanze socialdemocratiche. In tempo di crisi della democrazia e di nuove necessità sociali c’è bisogno di entrambi: perché bisogna battere Trump, non affermare il primato di una idea di sinistra”. Anche in Italia viva va forte l’ex vicepresidente di Obama: “Biden tutta la vita. Un riformista vero”, dice Davide Faraone. “Joe Biden è un uomo che tende a unire la gente invece che dividere. Un bel messaggio quello che ha dato alle primarie democratiche negli Stati Uniti: tenere insieme un paese sotto la spinta riformista, diametralmente opposta a una deriva estremista. Può essere il leader giusto per battere la vecchia politica di Trump”, afferma Ettore Rosato. “Intanto mi chiedo come entreranno il coronavirus e l’effetto connesso di Wall Street nella campagna per le presidenziali – dichiara Teresa Bellanova – Negli Stati Uniti gli elettori democratici stanno decidendo quale può essere il candidato migliore da contrapporre a Trump. E mi pare abbastanza evidente, pur conoscendo poco la società americana, che un riformista capace di parlare ad ampie fasce di elettorato americano abbia più chance di uno che parla al massimo a una parte del partito. Certo, la grande pluralità di candidati nel campo democratico può essere letta come un caos o come un segno di vitalità. Propendo per questa seconda ipotesi. E se le cose stanno così, penso che Joe Biden sia nella migliore posizione per trarre da tutto ciò una sintesi vincente”. “Anche se non sono un cultore della materia e mi sembra un mondo con canoni lontani dalla politica italiana. Direi Biden perché rappresenta l’amministrazione Obama e quindi l’antitesi dell’amministrazione Trump”, dice Gabriele Toccafondi.

 

Non mancano però nel Pd i sostenitori di Bernie Sanders. “Voterei Sanders, perché ha un messaggio politicamente molto forte, che parla agli esclusi, a partire dalla sanità pubblica, che può motivare working class, latini, afro-americani, nuove generazioni. Se riuscirà a portarli a votare, potrà vincere contro Trump. Conta riuscire a mobilitare, servono idee forti, e Sanders può farlo”, dice Francesco Verducci. “Sanders. Perché tutto sommato penso che Trump si combatta con una visione radicalmente alternativa”, dice Matteo Orfini. Sanders piace a sinistra, inevitabilmente. “Voterei Sanders”, afferma Stefano Fassina, che spiega: “Perché è l’unico che interpreta, dal versante progressista, la fase caratterizzate da domande di protezione sociale e identitaria. Altrimenti le interpreta soltanto Trump in chiave regressiva e sempre più pericolosa”.

 

Ma Sanders raccoglie consensi anche nel M5s. “Lo voterei senza dubbio, perché ha il coraggio di parlare di concetti che a noi europei ci sembrano scontati come l’universalità del diritto allo studio, delle cure mediche, della registrazione al voto automatico e la tassazione per le big tech. Il tutto senza rinunciare all’anima ‘liberale’ dello stato a stelle e strisce. Non ultimo, perché ha fatto un comizio assieme al concerto degli Strokes”, dice Francesco Berti del M5s. “Voterei per Bernie Sanders per le sue posizioni sui temi economici e sui diritti civili. In particolare, Sanders rappresenta l’unico candidato che mette in discussione il modello americano, che attualmente esclude dall’accesso all’Istruzione e alla Sanità una fetta importante di popolazione”, dice Generoso Maraia del M5s.

 

E nel centrodestra? “Prima di appassionarmi alle elezioni negli Stati Uniti vorrei che votassimo noi italiani visto che l’ultimo governo, espressione coerente con il voto popolare, è stato quello di Berlusconi, 7 governi fa – dice Giovanni Donzelli di Fratelli d’Italia – Tuttavia dovendo scegliere mi pare che Trump sia l’unico votabile e non certo il ‘mostro’ che qualcuno vuole dipingere. Di lui apprezzo le battaglie a difesa dell'identità, dei confini, delle imprese, dei prodotti, delle famiglie. Shock fiscale ed investimenti pubblici sono la ricetta che proponiamo anche noi per l’Italia”. “Biden-Trump? Non mi piace nessuno dei due… Ma se devo proprio, sceglierei Trump”, dice Achille Totaro (FdI), che però su Sanders ammette: “Sul sociale non mi dispiacerebbe”. “Voterei repubblicano e quindi il candidato repubblicano… che a volte può piacere di più e a volte meno, ma non si abbandona mai il campo di appartenenza”, spiega Stefano Mugnai di Forza Italia. “Auspico una nuova presidenza americana che mantenga la tradizione di amicizia e collaborazione con l’Italia e che pur in un nuovo contesto internazionale non rinunci al suo ruolo di difensore della pace e della democrazia nel mondo”, dice Annagrazia Calabria (FI). A Pierantonio Zanettin (FI) sarebbe piaciuto Mike Bloomberg. “E’ un moderato e come sindaco di New York ha dato ottima prova. Ma tra Trump e la coppia Biden e Sanders opterei per Trump”. E un Dc come Gianfranco Rotondi? “Io dal 1987 sono iscritto al Partito democratico americano, con presentazione dell’allora sindaco di Nusco, Giuseppe De Mita”, dice Rotondi. Quindi è per Biden? “Non mi pronuncio perché a pelle Trump mi è troppo simpatico”. Antonio Palmieri (FI)è sicuro: “Trump. Nonostante il Foglio lo dipinga come Jessica Rabbit, è la soluzione migliore nel momento storico attuale. E uno che, come lui, ha il coraggio di andare alla Marcia della Vita, dovrebbe avere il plauso perenne di Giuliano Ferrara”.

Di più su questi argomenti:
  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.