Eccola, la ribellione dei moderati. Perché Biden preoccupa molto Trump
L’ex vicepresidente dimostra anche alle ultime primarie di poter creare una coalizione che ruba voti al presidente
Milano. Facciamola finita, sappiamo chi ha vinto, concentriamoci su Donald Trump. Il miniTuesday – sei stati al voto, martedì – ha confermato la leadership di Joe Biden nelle primarie democratiche americane: non c’è certezza matematica della superiorità dell’ex vicepresidente rispetto a Bernie Sanders, ma c’è quella politica, e quella elettorale. Così molti dicono: Sanders si ritiri subito, non arriviamo come nel 2016 fino a giugno a dilaniarci, se Biden dev’essere che Biden sia. Il senatore del Vermont non ha dato alcun seguito alla richiesta, ha detto che continuerà e sfiderà Biden, con tutta probabilità insisterà sul fatto che ancora una volta – come nel 2016 appunto – l’establishment gli si è coalizzato contro, ma poi avete visto come è andata a finire? Ha vinto Trump. Sanders combatterà, ma una delle urgenze più grandi dei democratici è anche la più banale: questo non è il 2016. Sanders non è il Sanders di quattro anni fa, e naturalmente Biden non è Hillary Clinton.
L’entusiasmante campagna del senatore del Vermont del 2016 non si è replicata: mancano l’effervescenza e la curiosità della prima volta, manca l’outsider, manca il fatto di non aver nulla da perdere. Al loro posto c’è una promessa mancata: la capacità di Sanders di creare una coalizione di elettori in grado non solo di vincere le primarie ma anche di battere Trump. Senza quella promessa soddisfatta la pur seguitissima visione radicale di Sanders risulta un’altra volta “too much”. E quel che affossa il senatore del Vermont – e preoccupa molto anche Trump, avrete notato che i trumpiani hanno iniziato la campagna: Biden non c’è con la testa – è che una coalizione alternativa c’è, ed è quella creata proprio da Biden. (Peduzzi segue a pagina quattro)
Biden non è Hillary e questo vuol dire almeno due cose: la prima è che Sanders aveva approfittato nel 2016 di un voto anti Hillary personalissimo e anche piuttosto corposo; la seconda è che quel voto ostile si è ripetuto nel novembre del 2016, impedendo l’unità del Partito democratico e agevolando Trump (poi c’è tutto il filone del rimpianto: perché Barack Obama disse a Biden, nel 2016, che quello era l’anno di Hillary? Forse ci si evitava Trump). In questo modo, Biden ha davvero allineato molte stelle – gli amanti degli astri dicono che niente descrive meglio questo momento per Biden della “super worm moon” che illumina i nostri cieli in queste notti, è la superluna che annuncia la primavera. In particolare la vittoria in Michigan – lo stato più importante del miniTuesday – mostra quel che Tim Alberta su Politico sintetizza così: “Biden può ricostruire il blue wall dei democratici contro Trump”. Prima di tutto l’affluenza è stata alta e dopo anni in cui l’attivismo premia gli estremi, ora è a favore dei moderati – è la prima manifestazione concreta di quel che l’ex premier inglese Tony Blair chiama “la ribellione dei moderati”. Biden ha vinto in Michigan, Missouri e Mississippi con una mobilitazione straordinaria dell’elettorato afroamericano (come già al SuperTuesday, e come non accadde con Hillary), dell’elettorato femminile e di quello dei sindacati. L’ex vicepresidente continua ad avere difficoltà con i giovani e con gli elettori che si definiscono molto liberal nelle rilevazioni: questo continua a essere il feudo di Sanders. Ma il punto più importante, nell’ottica chiudiamo-qui-le-primarie, è che Biden ha conquistato il sostegno dell’elettorato bianco delle zone periferiche e rurali. Cioè quegli elettori che alle presidenziali del 2016 consegnarono il Michigan a Donald Trump, la prima volta per un repubblicano dal 1988. Questo è l’elettorato moderato di cui si parla da molto tempo e che ora sembra sempre più visibile, più attivo, e in cerca di un rifugio dopo la scappatella con Trump.
Questo elettorato può permettere di ricostruire il “muro blu” dei democratici: come dicono i consiglieri elettorali, i margini sono piccini, basta poco per riportare la mappa elettorale com’era prima del trumpismo. Questi dati rendono Biden il candidato a oggi migliore per battere Trump: ora i democratici devono convincere Sanders a evitare la lotta nel fango, a dare l’appoggio a Biden che serve per unire il partito e a rassegnarsi al fatto che il 2020 è l’anno in cui il tesoro più prezioso è il ritorno alla normalità, in cui pensare al bene degli americani è essere prudenti e responsabili pure con i virus.
L'editoriale dell'elefantino