Brexit, si ricomincia
Primo scontro BoJo-Europa. Le due condizioni europee e cosa vuol dire “modello Australia”
Bruxelles. Al terzo giorno dopo la Brexit, l’Unione europea e il Regno Unito si sono trovati nuovamente in rotta di collisione, dopo che Michel Barnier e Boris Johnson hanno delineato le rispettive posizioni nei negoziati che si apriranno a marzo per cercare di arrivare a un accordo sulle relazioni post Brexit. Ieri mattina il caponegoziatore dell’Ue non aveva ancora finito di illustrare quella che ha definito come “una offerta altamente ambiziosa di accordo commerciale” al centro della futura partnership economica e di sicurezza, che Johnson ha preso la parola a Greenwich per fare arrivare un “messaggio” dall’altra parte della Manica: “Vogliamo un ampio accordo di libero scambio simile a quello del Canada”, ma se le condizioni poste dall’Ue saranno eccessive, allora Londra è pronta a una relazione commerciale “più simile a quella dell’Australia”. Problema: l’Ue non ha alcun accordo di libero scambio con l’Australia, solo una semplice intesa per ridurre le barriere non tariffarie. In altre parole, le relazioni tra Ue e Regno Unito si fonderebbero sul quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), compresi dazi sulle merci e controlli molto severi alle dogane. E a giudicare dai rispettivi discorsi, le condizioni di Barnier e le posizioni di Johnson appaiono difficili da conciliare. La sterlina, che è sempre stata un buon termometro delle tensioni politiche legate alla Brexit e al post Brexit, ha perso più dell’un per cento mentre Barnier e Johnson si confrontavano a distanza.
La Commissione di Ursula von der Leyen ha messo sul tavolo un’offerta allettante per il Regno Unito: un Accordo di associazione che non ha precedenti con nessun altro paese al mondo – in termini di accesso al mercato europeo, ma anche di cooperazione sulla sicurezza – permettendo comunque a Johnson di rivendicare l’uscita totale da mercato unico e unione doganale. Ma l’Ue pone due condizioni che costituiscono un ostacolo a un’intesa: per avere “zero dazi e zero quote”, Johnson deve rinunciare a ogni forma di dumping seguendo la regolamentazione europea in diversi settori e accettare un accordo di pesca che garantisca all’Ue l’accesso alle acque britanniche. Primo, per l’Ue è necessario assicurare una concorrenza “aperta e leale”, il che significa “meccanismi per far rispettare gli alti standard che abbiamo (nell’Ue) su questioni sociali, ambientali, climatiche, fiscali e di aiuti di stato”, ha detto Barnier. Risposta di Johnson: “Non c’è alcuna necessità di un accordo di libero scambio che preveda di accettare le regole dell’Ue su politica della concorrenza, sussidi, protezione sociale, ambiente o cose simili”. Secondo, per l’Ue l’accordo di libero scambio “deve includere un’intesa sulla pesca” che garantisca “accesso reciproco continuo ai mercati e alle acque con quote stabili”, ha spiegato Barnier. Risposta di Johnson: “Siamo pronti a considerare un’intesa sulla pesca, ma deve riflettere il fatto che il Regno Unito sarà uno stato costiero indipendente alla fine di questo 2020 e avremo il controllo sulle nostre acque”. Al massimo Londra può accettare “negoziati annuali con l’Ue” sulle quote di pesce, ma “assicurando che le zone di pesca britanniche siano innanzitutto e soprattutto per le imbarcazioni britanniche”, ha detto Johnson.
A Bruxelles e nelle altre capitali si vuole credere che il discorso di Johnson sia diretto al suo pubblico, quello che venerdì notte ha festeggiato l’uscita dall’Ue come una liberazione e non vuole più sentir parlare di regolamenti e direttive. “Il primo ministro continua con lo spin”, dice al Foglio un ministro di uno stato membro, che chiede di rimanere anonimo: “Stile Australia suona bene ma vuol dire stile Wto”. Come nei negoziati sull’accordo di divorzio, l’Ue è convinta di trovarsi in una posizione di forza perché il Regno Unito ha più da rimetterci in caso di “no deal” sulle relazioni future. “Nei negoziati i britannici sono meccanicamente perdenti”, assicura il ministro, secondo cui la pesca “è la sola questione su cui hanno una leva tangibile”. Gli europei sperano anche in una quinta colonna nel Regno Unito su cui poter contare per fare pressioni su Johnson. “Scozia, Irlanda del nord, la grande industria automobilistica e aeronautica e la Bci (la confindustria britannica) sono allineati all’Ue”, dice il ministro. I 27 hanno un’arma nucleare per mettere Johnson in un angolo: i servizi finanziari della City di Londra potranno operare nell’Ue soltanto se ottengono l’equivalenza con una decisione unilaterale della Commissione. Merci, finanza, pesce: tutto si tiene. Eppure nemmeno i più ottimisti a Bruxelles sono pronti a scommettere che l’accordo post Brexit sarà più facile dell’accordo Brexit.
Isteria migratoria