(foto LaPresse)

Una partita a tre

Pier Carlo Padoan

Bruxelles, Londra, Washington: scenari post Brexit. Che potrebbero accelerare le strategie dell’Unione

La Brexit è partita. Siamo entrati nella fase del negoziato tra Regno Unito e Unione europea che dovrà definire i futuri rapporti tra i due giocatori. E in tempi molto ristretti. Non si tratterà di una partita a due ma (almeno) di una partita a tre. Il terzo giocatore sono naturalmente gli Stati Uniti. Si possono immaginare diversi scenari, a cominciare dal più semplice e lineare. Quello che prevede una sostanziale conferma dei rapporti commerciali tra le due parti, Ue e Regno Unito e di cui si conoscono pregi e difetti per l’esperienza accumulata. Ma su questo aspetto già emergono differenze importanti. L’Unione europea richiede convergenza normativa mentre il Regno Unito anche su questo vuole mani libere, anche tenendo conto dei rapporti con paesi terzi. Qui entra in gioco il rapporto con gli Usa, che Londra vuole utilizzare sia per allargare l’orizzonte negoziale, sia come elemento di disturbo nel negoziato con Bruxelles. L’idea di un forte rapporto con gli Usa però si scontra con la serie di fallimenti che in passato ha caratterizzato i tentativi di approfondire le relazioni economiche transatlantiche, fino all’ambizioso tentativo di creare un vero e proprio mercato unico tra i due lati dell’oceano. Fallimenti che hanno riguardato appunto la regolazione dei mercati, a cominciare da quello dei prodotti alimentari. È uno schema rischioso per Londra. In assenza di nuovi accordi con Unione europea e Stati Uniti, lo scenario che si aprirebbe per il Regno Unito sarebbe quello di un quadro regolato “unicamente” dalle norme del Wto, che, come è noto, stanno mostrando numerose debolezze.

 

Il quadro generale è problematico soprattutto per le conseguenze di medio periodo. La domanda cruciale infatti è in che direzione e con quale intensità gli accordi post Brexit avranno un impatto sulle decisioni di investimento delle imprese? Nell’epoca delle “catene globali del valore” certezza e trasparenza sul quadro di lungo termine sono essenziali per mantenere sostenuto il ritmo degli investimenti. Le recenti tensioni commerciali innescate dal bilateralismo dell’Amministrazione Trump (anche quando la minaccia viene ritirata) e le conseguenze negative sulla crescita globale sono lì a dimostrare gli effetti dell’incertezza sul quadro che regola il comportamento delle imprese che operano nei mercati globali.

 

Per tornare ai rapporti tra Ue e Regno Unito, un forte sentore di bilateralismo lo si intravede anche nelle rivendicazioni settoriali che si fanno avanti. Dalle questioni relative al diritto di sfruttamento delle acque europee per la pesca alle questioni ambientali a quelle finanziarie. Questioni settoriali che si prestano, come insegna la storia dei negoziati commerciali, alla definizione di accordi di mutuo interesse ma appunto di respiro settoriale. Quali sono gli interessi europei (e italiani) in tutto ciò? In primo luogo quelli di rafforzare l’integrità del mercato interno. In secondo luogo (dovrebbero essere) quelli di trarre dal negoziato Brexit uno stimolo per accelerare il processo di integrazione, in particolare su due fronti: quello ambientale e quello dei mercati finanziari.

 

Il tema ambientale è divenuto centrale nella strategia della Commissione europea. Per avere successo deve coinvolgere il settore privato. Come è noto negli ultimi anni il mondo delle imprese si è collocato all’avanguardia nel definire le strategie di investimento con valenza ambientale. Per sfruttare ancora di più questa ondata, sostenuta dall’opinione pubblica, occorre fare chiarezza sugli standard ambientali per permettere che gli investimenti privati siano attratti sia dai nuovi valori etici di sostenibilità, sia dalle nuove opportunità di profitto che questi investimenti promettono. Ed è bene ricordare che senza il contributo del settore privato non si potranno realizzare gli ingenti investimenti previsti dal Green Deal europeo.

 

Il tema finanziario è almeno altrettanto complesso. Con l’uscita del Regno Unito l’Unione europea dovrà in gran parte riconsiderare ruolo, collocazione e vantaggi comparati del suo settore finanziario. Le numerose funzioni finora ricoperte dalla City di Londra dovranno, in tutto o in parte, essere riallocate tra altri centri finanziari in Europa. Il processo, che è già in atto, sarebbe più efficiente ed efficace se accompagnato da misure volte ad accelerare la Capital Market Union (o se si vuole la Financial Union, che comprenda la Banking Union). Così il processo innescato dalla Brexit potrebbe essere strumentale per una accelerazione delle strategie di lungo periodo dell’Unione europea.

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