Per l'Europa la sfida della Brexit inizia ora. Primo obiettivo: restare uniti
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Sbiadisce il British dream
Milano. In tutti gli abbandoni, le separazioni e i divorzi, il momento più difficile è quello degli scatoloni: è quando realizzi che è davvero finita. Per questo il Brexit day – il Regno Unito è uscito ufficialmente dall’Unione europea ieri a mezzanotte – è molto più doloroso per gli europei che per gli inglesi. Nel Regno Unito non cambia ancora nulla: si entra nel periodo di transizione, si tirano giù le bandiere europee, si brinda in modo più o meno sfrontato e sguaiato, ma gli scatoloni in ingresso non ci sono. In Europa sì: gli uffici dei britannici sono stati svuotati, i parlamentari sono andati via (quelli del Brexit Party ieri suonavano le cornamuse e portavano la Union Jack “a casa”), la rappresentanza permanente inglese diventa “missione”, chi resta riceve messaggi in cui si dice di controllare gli indirizzari, di stare attenti a non fare “reply” a vecchie email. Gli inglesi ora sono “visitatori da uno stato terzo”, non partecipano più agli affari europei. Gli europei erano ventotto e ora sono ventisette: la differenza si vede già.
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- Paola Peduzzi
Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi