Giuseppe Conte e Boris Johnson (foto LaPresse)

Dal Bisconte a BoJo, varianti del trasformismo

Giuliano Ferrara

Perché questo nostro sistema di governo è un ingrediente universalmente trasversale della politica. Anche di quella inglese che con Johnson si appresta a farla finita con la storia infinita della Brexit

Giovedì prossimo gli inglesi votano, pare che Boris Johnson sia in vantaggio e che avrà la maggioranza assoluta per finirla con la storia infinita della Brexit (get Brexit done). Vedremo. Intanto s’immaginano i commenti di parte italiana: noi qui a combattere con il trasformismo e i vari salti della quaglia e le mosse del cavallo, loro alla fine hanno votato e grazie alla legge elettorale maggioritaria la questione di chi decide in nome dell’elettorato, per non dire del popolo, sarà stavolta definita con una “snap election”, letteralmente uno “schiocco” di esperienza politica fulminante così lontano dai nostri deliranti e farraginosi contratti fra nemici, lenti governi di legislatura tra avversari di ieri affacciati sul vuoto, le nostre famose alleanze strategiche e dissimulazioni varie in pieno corso.

 

Giovedì con i risultati da Londra si avrà un atto di chiarezza che istituzioni forti consentono, mentre in Italia si parla di ritorno alla proporzionale più o meno integrale o corretta. In più, si dice (lo ha riferito Gregorio Sorgi qui parlando della decisione del New Statesman, rivista laburista da cent’anni, di non votare Corbyn) che l’opposizione di Sua Maestà ripartirà da zero, nuovo inizio. Chiarezza di qua e di là, perfetto.

 

Invece il trasformismo è la chiave anche della politica britannica. Nel pamphlet di Antonello Guerrera sulla Brexit, raro esempio di racconto che si fa analisi e viceversa, l’apertura è dedicata al tentennamento di Boris, che scrive a casa sua due articoli per il Daily Telegraph, nel momento in cui deve decidere da che parte stare sul referendum per l’uscita dall’Unione europea, e non sa per alcun tempo quale dei due debba licenziare: un testo è per il no al distacco, l’altro è per il sì. Guerrera ricostruisce con arte scaltra di ritrattista i pensieri profondi e gli scarti di sensibilità e di umore del probabile imminente premier, le esitazioni tipiche di ogni dilemma opportunistico, il contorto modo psicologico entro il quale la scelta finale matura, e come sappiamo sarà per il sì alla Brexit. Insomma, quali che siano i commenti banali all’univocità decisionista del sistema britannico paragonato al caos e all’adattamento trasformistico italiano, si prega di tenere conto del fatto inoppugnabile all’origine di tutto: Johnson ha fatto la scelta che gli conveniva e il suo apparato mentale del momento era quello di un perfetto trasformismo.

 

Il nostro Bisconte, paragonato a BoJo, è un genere diverso dell’opportunismo. La sua idea di politica nasce come qualcosa di avventizio, matura negli studi legali, cresce nella scelta che si appunta su di lui di una lobby, e finisce con assoluta naturalezza nel terzismo trasformistico in base al quale può stare al fianco del Truce per un “anno bellissimo” e subito dopo demolire il senatore Salvini, allo stesso titolo e con la stessa faccia (tosta), a capo di due maggioranze opposte, a parti invertite per così dire. Un destino intuibile fin dall’inizio, un trasformismo di pelle che ha per esempio l’illustre precedente di un Lamberto Dini: ministro del Tesoro del governo Berlusconi dopo il 1994, poi subito dopo preparatore dell’avvento dell’Ulivo con l’aiuto del Quirinale di Scalfaro, infine ulivista alla Farnesina per lunghi anni. Questi nostri trasformisti sono idealtipi weberiani, professionisti della materia. Boris Johnson era un sindaco di Londra carismatico e multiculturale, un caso tipico di sinistra della destra, un conservatore che intratteneva e faceva circo senza complessi, e al tempo stesso legittimava con il precedente fantastico di Winston Churchill la sua assoluta disinvoltura. Il suo dubbio trasformistico era autentico, al momento della scelta sulla Brexit, e il suo opportunismo una variante scettica del machiavellismo di sempre. Penso che bisognerà studiare meglio, senza pregiudizi moralistici, questo nostro sistema di governo, il trasformismo, che dura dai tempi del connubio cavourriano che fece l’unità sacra della Patria, e che per certi aspetti è un ingrediente universale o almeno universalmente trasversale.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.