La campagna-ombra delle elezioni inglesi
Tra Ads online, spese folli di gruppi sconosciuti e dispetti agli amici di FB
Milano. Nel Regno Unito a pochi giorni dalle sue inusuali elezioni invernali, i giornali si schierano con i loro endorsement, le emittenti tv organizzano i dibattiti tra i candidati, i sondaggisti mostrano i loro metodi, campioni, trend, analisi comparate. Ognuno fa il suo mestiere aspettando che gli elettori facciano il loro, ma c’è un gran nervosismo perché la palla è tonda e perché gli errori del passato – le previsioni sbagliate, le aspettative sbagliate – pesano ora più che mai: e se non ci stessimo capendo nulla? Due ricerche pubblicate in questi ultimi giorni hanno increspato ulteriormente le convinzioni più diffuse, che danno i Tory parecchio avanti rispetto al Labour, e l’assalto dei terzi, i Lib-dem, molto sbiadito. Il Financial Times ha fatto uno studio sulle campagne online, le cosiddette “shadow campaign”, di cui abbiamo poca contezza perché sono estremamente targetizzate: quello che vedo io sui social è diverso da quello che vedi tu. Poiché la trasparenza non è prioritaria per i social e nemmeno per i politici, c’è un’alta possibilità che le opinioni degli elettori si stiano formando in modi non decifrabili. I gruppi che fanno campagne online senza essere formalmente legati a un partito sono saliti a 67: erano 43 nel 2017.
Questi gruppi hanno speso 503.000 sterline per ads (pubblicità) online, più del doppio di quello che ha speso il primo partito nei sondaggi, quello conservatore (che si è accorto del ritardo e sta preparando un blitz per questi ultimi giorni utili). Rintracciare le attività di tali gruppi è complicato, il Financial Times ne ha trovati alcuni che hanno per lo più a che fare con il mondo conservatore e brexitaro, ma i finanziamenti non sono comunque visibili – non lo saranno fin dopo le elezioni – e i messaggi lanciati restano intrappolati nella solita nebulosa di propaganda e manipolazioni di cui discutiamo da anni senza aver davvero trovato il modo e la volontà per dissiparla. E qui entra in gioco il secondo studio pubblicato dal Guardian assieme all’agenzia di ricerca Revealing Reality che è il risultato di un’indagine sugli smartphone di un gruppo di elettori volontari che si sono fatti registrare per tre giorni. La conclusione è presto detta (l’autore dell’articolo del Guardian è uno dei più divertenti e spietati esperti di media, Jim Waterson): l’ecosistema dei media tradizionali “si sta disintegrando” sui nostri telefoni e “fake news, ingerenze russe, pregiudizi dei media” c’entrano poco, c’entra più il gruppo di amici sui social, e ovviamente il temibile algoritmo. Più che di una ricerca, scrive Waterson, si tratta di un’istantanea, ma in linea con altri studi che dimostrano che: più che informazione le persone cercano entertainment, quindi i video e i meme sono efficacissimi (il video più visto della campagna è quello dell’attore Rob Delaney che dice che il Sistema sanitario inglese con la Brexit andrà ai figli di Trump che lo faranno a pezzi e lo venderanno ad aziende farmaceutiche), e che non c’è niente di più divertente del fare i dispetti ai propri amici sui social. Così se sei di sinistra condividi video dell’estrema destra per far innervosire gli amici della tua bolla, e viceversa. Ci sono anche condivisioni più consapevoli ma tendenzialmente sono di link che nessuno ha aperto, nemmeno chi lo ha condiviso, e comunque nulla batte il meme del premier Boris Johnson che dice “boobies” davanti a una classe di bambini.
Se si sommano le “shadow campaign” con il disintegrarsi dei media tradizionali e l’accentuata propensione di molti ex politici a suggerire che il voto tattico è l’unica soluzione all’impasse politica del Regno, si capisce perché stanno tutti parafrasando una celebre frase di Churchill. Lui diceva che “in guerra la verità è tanto preziosa che deve essere sempre accompagnata da un bodyguard di bugie”. Ora, come scrive l’Economist (che dice di votare i Lib-dem), le bugie sono tanto preziose che vengono accompagnate da un bodyguard di altre bugie. E intanto forse non ci stiamo capendo davvero niente.