Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

La sinistra che aspetta il post Corbyn

Gregorio Sorgi

Nella redazione del New Statesman che non vota questo Labour e si sente sollevata

Londra. Nel giorno in cui la storica rivista della sinistra britannica annuncia ai lettori che non sosterrà il Labour alle elezioni della settimana prossima, la redazione sembra sollevata. I giornalisti del New Statesman sfogliano l’edizione appena uscita in edicola mentre ascoltano in silenzio il discorso del direttore. “Siamo stati criticati e insultati in rete per il nostro ultimo editoriale”, annuncia Jason Cowley con un tono solenne ma rassicurante: “Perderemo lettori nel breve termine ma ne guadagneremo nel lungo periodo”.

 

 

Non è una giornata come tutte le altre questa, per la redazione del New Statesman. Alcuni vecchi lettori si sono sentiti traditi dal mancato endorsement al Labour – non era mai successo negli ultimi cento anni – e hanno inviato messaggi di indignazione al direttore. “Sono stato insultato personalmente in rete”, dice Cowley: “Ma sono contento di avere dato vita a un dibattito acceso, questo è l’obiettivo del New Statesman. Siamo stati tra gli hashtag più popolari su Twitter, vorrei che fosse così ogni settimana”. Il direttore ha spiegato in un lungo editoriale che il problema dei laburisti non è il programma economico radicale. Il problema è Jeremy Corbyn. Il leader dell’opposizione “non è adeguato a fare il primo ministro”, e lo ha mostrato nella gestione disastrosa dell’antisemitismo nel suo partito. Questo è il principale argomento di discussione nella riunione di redazione. “E’ un problema di competenza”, dice Stephen Bush, il capo della redazione politica: “Un partito che non riesce a estirpare l’antisemitismo non può governare un paese”. “E’ stato tutto uno scontro interno al Labour”, spiega una giovane redattrice: “Chi critica il comportamento di Corbyn viene visto come un traditore, come un ‘blairiano’”.

 

Pur essendo un settimanale progressista, il New Statesman ha criticato Corbyn fin dall’inizio della sua leadership. “L’editoriale rispecchia ciò che abbiamo scritto negli ultimi cinque anni”, spiega il direttore alla redazione: “Ho l’impressione che molti detrattori non ci leggono nemmeno, sono rimasti indietro”. Cowley ha riformato quello che per anni era stato l’organo del Labour. “Prima del mio arrivo il settimanale apparteneva al deputato laburista Geoffrey Robinson – ci spiega – Non avevo alcun interesse a dirigere un giornale di partito, e ho accettato l’incarico quando è cambiato il proprietario. Da tempo sono un critico del Labour e per questo ho voluto rendere la rivista più indipendente e irriverente, sapendo che ci avrebbe portato nuovi lettori. E’ stato un percorso lungo, ma stavolta ho pensato che eravamo pronti a togliere il nostro sostegno ai laburisti”. 

 

 

Nella redazione del New Statesman si pensa già al dopo Corbyn. In caso di sconfitta il leader sarà costretto a farsi da parte e inizierà la corsa alla successione. “Corbyn non si dimetterà, resterà in carica il più a lungo possibile – ci spiega Stephen Bush – Cercherà di fare eleggere un successore che porti avanti il suo programma”. Si profila una sfida tra diverse sfumature di corbynismo, che ormai rappresentano il pensiero dominante nel Labour. La sinistra controlla gli organi del partito e ha un grande seguito tra i militanti che dovranno scegliere il nuovo leader. “Corbyn ha vinto la battaglia delle idee contro i moderati”, ripetono molti redattori. Qualunque sia il risultato delle elezioni, il nuovo leader non si allontanerà dalla linea massimalista. “La speranza della sinistra è avere ‘un corbynismo senza Corbyn’”, spiega Jason Cowley: “L’attuale leader ha messo in moto il cambiamento nel Labour ma ormai il partito può fare a meno di lui. Le sue idee resteranno e verranno portate avanti dal suo successore. Nelle primarie del 2015 Corbyn ha innescato un meccanismo che era sempre stato represso nel Labour. E’ stato il primo a ripudiare il neoliberismo e a parlare una lingua che i giovani non avevano mai sentito. Questo avrà degli effetti irreversibili”. Se il Labour dovesse perdere le elezioni i corbynisti se la prenderanno con le debolezze del leader, non con le sue idee. “Non la vedranno come la seconda sconfitta di fila in due anni, ma come un nuovo inizio – dice il direttore – Non dimentichiamoci che sono degli idealisti, non hanno una visione lucida dei fatti”. Ma la resilienza del corbynismo è il sintomo di un paradigma che sta cambiando in Gran Bretagna. “La politica inglese segue dei cicli – spiega Cowley – il dominio del neoliberismo negli ultimi quarant’anni è stato spazzato via dalla crisi economica, e oggi ci troviamo in un interregno. Il vecchio sta morendo e stiamo aspettando che nasca qualcosa di nuovo”. 

 

Al New Statesman hanno un’idea chiara di cosa riserva il futuro, e di quale sarà la “posizione vincente” che il Labour dovrà occupare per tornare al governo. “Bisogna andare a sinistra sull’economia e a destra sulla cultura”, ripete Cowley. I cittadini chiedono un ritorno dello stato dopo anni di austerity, ma sono diffidenti verso la società multiculturale. Il direttore teme che i conservatori siano i primi a scoprire e a impadronirsi del nuovo consenso. “L’ex premier Theresa May aveva respinto il pensiero unico liberista, e al New Statesman l’abbiamo seguita con grande interesse. Anche Boris Johnson si sta spostando a sinistra perché vuole vincere nelle roccaforti laburiste. E’ furbo, opportunista, divertente e viene visto come un uomo del popolo pur essendo un figlio dell’élite. Lo abbiamo tutti sottovalutato”.