Boris Johnson (foto LaPresse)

Boris e il portafoglio

Gregorio Sorgi

I Tory in campagna elettorale sono ben spendaccioni. Tra tatticismi e ideologia, occhio ai tassi d’interesse

Londra. Laburisti e conservatori stanno facendo a gara per avere il programma elettorale più costoso. Entrambi i partiti hanno promesso di farla finita con l’austerity, proponendo un grande aumento nella spesa pubblica e negli investimenti statali. Non stupisce più di tanto che il Labour di Jeremy Corbyn porti avanti un programma incentrato su nazionalizzazioni e welfare: sono gli stessi temi su cui ha costruito il proprio successo nel 2017. Tuttavia anche i conservatori si sono adeguati e hanno deciso di sfidare il Labour sullo stesso terreno, al punto che i due partiti condividono molte proposte. I Tory hanno promesso di aumentare il salario minimo a 10,50 sterline l’ora entro il 2024, mentre l’opposizione ha giurato di farlo con effetto immediato. La filosofia economica di Boris Johnson – che è stata ribattezzata “boosterism” – prevede un incremento della spesa pubblica e un abbassamento delle tasse per la classe media. In un discorso alla Confindustria inglese lunedì scorso il premier ha annunciato che non ci sarà alcun taglio delle tasse per le grandi aziende, ma gli sgravi fiscali riguarderanno le piccole imprese. Le proposte elettorali dei Tory finora comprendono anche un aumento massiccio nelle risorse del Servizio sanitario nazionale. 

 

La sanità è uno dei temi che più stanno a cuore agli elettori, ma i conservatori prevedono anche un grande piano di investimenti da 20 miliardi all’anno per migliorare il trasporto locale. Secondo Eamonn Butler, direttore del think tank liberista Adam Smith Institute, le promesse fanno parte di “una strategia elettorale” e verranno disattese una volta che ci sarà la Brexit. “A quel punto i Tory torneranno a promuovere il libero mercato – spiega al Foglio Butler – Questo sarà più facile perché molti conservatori centristi sono stati sostituiti da colleghi più radicali”.

 

Alcuni osservatori indipendenti, tra cui l’Institute for fiscal studies, hanno calcolato che le promesse di entrambi i partiti sono impraticabili e riporterebbero la Gran Bretagna al livello di spesa pubblica degli anni Settanta. Le proposte del Labour prevedono la nazionalizzazione di cinque servizi essenziali (ferrovie, poste, acqua, energia e rete elettrica) che costerebbe oltre 200 miliardi finanziati attraverso un aumento delle tasse sul 5 per cento dei più ricchi. “Boris Johnson e Jeremy Corbyn sembrano due adolescenti ai quali è stata appena consegnata una carta di credito”, dice Matthew Flinders, politologo all’Università di Sheffield: “I conservatori però hanno molto più da perdere perché sono tradizionalmente il partito del pragmatismo e della stabilità. Invece il Labour ha sempre lottato contro una presunta incompetenza economica”. Uno degli argomenti a favore della svolta fiscale dei Tory è stato il calo dei tassi di interesse che riduce enormemente il costo di indebitamento per il governo.

 

L’economista di Oxford Paul Collier ha scritto in un editoriale sullo Spectator che siamo di fronte “al più grande cambiamento monetario della nostra epoca”, che rischia di sconvolgere il quadro politico. Perfino un ultraliberista come Sajid Javid, l’attuale cancelliere dello Scacchiere, si è convinto che “questo è il momento in cui investire” perché “possiamo sottoscrivere prestiti a tassi di interesse negativi”. I Tory stanno puntando sull’aumento della spesa pubblica, dato che i costi sono minimi e i benefici sono potenzialmente enormi. I sondaggi mostrano che gli elettori ne hanno avuto abbastanza dell’austerity, e chiedono un netto miglioramento nella qualità dei servizi pubblici come la sanità e l’istruzione. La strategia di Johnson è di conquistare seggi in zone euroscettiche e tradizionalmente filo laburiste come le Midlands e lo Yorkshire, dove questi temi sono particolarmente sentiti. Il piano del premier è molto simile a quello di Theresa May nel 2017, che cercò di rubare seggi ai laburisti nell’Inghilterra profonda. “Le promesse di Johnson sono l’evoluzione del manifesto della May alle scorse elezioni. Entrambi si sono allontanati dal dogma liberista degli anni Ottanta”, spiega Will Tanner, direttore del think tank Onward ed ex consigliere della May: “La nostra strategia era di vincere al nord promettendo l’uscita dall’Ue e un intervento forte dello stato. Ci siamo riusciti in parte, conquistando molti voti in aree tradizionalmente appannaggio del Labour”. Tanner aggiunge che i conservatori possono vincere solo prendendo i voti del Brexit Party, che non si è ritirato dai seggi attualmente in mano al Labour.