Un'alleanza tra debiti e mercati
I dati sul pil del primo trimestre (-4,7) e la novità delle risposte anti depressive
Il pil dell’Italia cala nel primo trimestre 2020 del 4,7 per cento, “un’entità mai registrata” dice l’Istat “dall’inizio del periodo di osservazione, il 1995”. Su base annua la recessione si annuncia del 4,8 per cento e con i prossimi trimestri pari a zero avremo un meno 4,9. Al di là dei decimali siamo in piena recessione, pur se il mese pienamente coinvolto nel lockdown è stato marzo. Aggiungiamo il trascinamento del meno 0,3 degli ultimi tre mesi 2019. Ma contemporaneamente la disoccupazione a marzo è scesa all’8,4 per cento, quasi un punto in meno del 9,3 di febbraio. E tra i giovani al 28 per cento, rispetto al 29,2. C’è una sostanziale tenuta del livello di occupazione e invece una forte riduzione delle persone in cerca di lavoro: meno 267 mila unità. La contraddizione tra recessione e miglioramento della disoccupazione è solo apparente: la riduzione del Pil è la prima conseguenza del blocco delle attività produttive e dei consumi; la disoccupazione è tenuta sotto controllo dalle prime misure governative di tutela del lavoro, dal divieto di licenziamento fino al 18 maggio all’estensione della cassa integrazione alle piccole e micro aziende.
Secondo il Mef, 7,350 milioni di persone sono oggi assistite dalla cassa, coperta dall’Inps e dal Tesoro. Si tratta di quasi un terzo dei 23,234 milioni di occupati. Il che, considerando la polverizzazione delle piccole imprese e del commercio, fa pensare che sia realistica la stima di un 40 per cento di attività che non si sono fermate neppure nel periodo di chiusura totale. All’estero non va meglio. Nell’Eurozona il pil è calato del 3,8 per cento, record dal 1995; ma in Francia del 5,8 e in Spagna del 5,2; in entrambi i casi peggio delle attese. In Germania del 3,7 con una previsione da parte di alcuni istituti economici di una ulteriore riduzione a due cifre entro giugno. La disoccupazione francese è al livello dell’Italia, quella della Spagna al 14,5. In Germania è salita al 5,8, però con 10,1 milioni di persone che hanno chiesto l’accesso all’orario ridotto. Per paragone, furono 3,3 milioni nel 2009. Non è solo l’Italia a sopravvivere grazie all’intervento pubblico: e di fronte allo shock di una pandemia non è il caso di alzare il sopracciglio in nome del mercato e del debito.
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