Angela Merkel e Giuseppe Conte (foto LaPresse)

La Germania punta tutto sugli aiuti di stato. L'Italia non ha soldi

Maria C. Cipolla

Più di un euro su due (il 52%) di sussidi alle imprese è tedesco. Ai paesi del Sud non resta che puntare sul Recovery fund

Il salvataggio di Lufthansa, un affare da 10 miliardi di euro su cui si sarebbe trovato l'accordo, è solo uno e non certo l'ultimo degli interventi con cui la Germania sta puntellando la sua industria: più di un euro su due degli aiuti pubblici erogati dai Paesi dell'Ue è stato speso dal governo tedesco.

Al 30 aprile, secondo i dati della Commissione, sono state approvate 128 misure nazionali. Per alcune, spiega un portavoce dell'esecutivo europeo, non è stato definito un budget, la natura degli aiuti è differente – si va dalle garanzie ai prestiti alle sovvenzioni –, i programmi spesso sono preliminari, ma per ora si stimano 1,9 trilioni di euro di aiuti: quelli tedeschi rappresentano il 52% dell'ammontare totale, mentre la Francia e l'Italia si fermano entrambe al 17%, il Regno Unito al 4. Anche la commissione pur notando che tutti “sono stati necessari e proporzionati”, sottolinea che “vi sono enormi differenze nell'ammontare che sembrano collegate allo spazio fiscale” degli Stati “nonché alla rispettiva dimensione delle loro economie”.

  

Berlino ha impiegato circa 988 miliardi di euro finora, contro i 323 miliardi di Parigi o Roma e la differenza non sta nella dimensione delle economie, visto che il pil della Germania è circa un quarto di quello della zona euro. Anche la Commissione pur notando che tutti gli aiuti di stato “sono stati necessari e proporzionati”, sottolinea che “vi sono enormi differenze nell'ammontare che sembrano collegate allo spazio fiscale” degli Stati “nonché alla rispettiva dimensione delle loro economie”.

 

La Germania ha spesso imposto condizioni chiare per concedere sovvenzioni, ma i suoi sono in gran parte versamenti diretti. L'Italia si è affidata al sistema delle garanzie e all'“atto di amore” delle banche per i prestiti fino a 25 mila euro. Mentre per quelli superiori affidati alla Sace, il presidente Rodolfo Errore ha spiegato in Parlamento di stare lavorando (dal 20 aprile) a operazioni per medie e grandi imprese pari a circa 12,5 miliardi di euro. Ancora il 29 aprile il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri ha spiegato che per il famoso “decreto aprile-che-sarà-varato-a-maggio” e che dovrebbe regolare gli aiuti alle imprese si sta attendendo una nuova cornice europea per i finanziamenti diretti. La sproporzione di intervento per quantità, tipologia e anche tempismo è lampante e rischia di tradursi in nuovi pericolosissimi squilibri.

 

La commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager ha bloccato con una lettera al ministro Peter Altmaier l'erogazione di aiuti oltre gli 800 mila euro e a Bruxelles si rafforza l'idea che il famoso Recovery Fund debba diventare anche lo strumento per i salvataggi delle imprese. Un'idea che sul Foglio è stata lanciata dall'ex capo alla concorrenza Ue Massimo Motta e che è condivisa anche da Martin Peitz, direttore del centro per la concorrenza dell'università di Mannheim. Finché la Germania “ha aiutato le imprese locali”, spiega Peitz, è improbabile che ci siano distorsioni per il mercato europeo piuttosto il problema è che “la mancanza di finanziamenti adeguati in uno Stato membro può avere un effetto devastante sull'economia con costi economici e sociali per l'intera Ue”. Quando però si iniziano a sostenere le grandi società in concorrenza con altre aziende europee, allora “la distorsione della concorrenza si fa probabile”. Per Peitz “sono necessari programmi settoriali a livello dell'Ue e che siano lungimiranti”.

 

Sul fronte tedesco, alcuni di questi programmi ci sono già, ma non sono stati concordati quelli sensibili su Lufthansa e sul settore automobilistico. “Finora”, argomenta l'economista tedesco, “Berlino ha saputo anche rigettare alcune richieste di sussidi da grandi imprese”, ma è presto per dire quale sarà il risultato per esempio con il settore automobilistico e “la vigilanza della Commissione Ue è necessaria”. Tra i rischi di un Nord troppo forte e di un Sud troppo debole, per Peitz prevale in ogni caso il secondo: “La maggiore preoccupazione è che in alcuni stati il finanziamento sia inadeguato Per questo servono programmi Ue: non strutturati come sussidi ma sostegno a ristrutturazioni in linea con gli obiettivi europei”. I due nodi, cioè l'uso del Recovery Fund per il salvataggio delle imprese e le regole per gli aiuti di Stato, sono anche se non apparentemente, fortemente collegati. E l'Italia arriva ad affrontarli in una posizione di debolezza e aggrappata all'Ue. Serviva forse una pandemia a ricordarci che quelle norme sulla concorrenza sempre mal comprese e criticate dentro ai confini nazionali servono a difendere le pari condizioni e cioè, in definitiva, i più deboli. È chiaro ora che i deboli siamo noi.

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