Enea salva il padre dall'incendio di Troia, Charles-André van Loo

Tra Schiller e Pico della Mirandola

Wolfgang Schäuble e lo scandalo del suo appello al sublime della dignità

Giuliano Ferrara

Il grande tedesco, un tipaccio parecchio interessante, dice che è più decoroso morire e lasciare morire invece di bloccare l’energia del futuro. Invece no, la pietas è più importante. La storia del virus è tutta qui

Wolfgang Schäuble è un tipo parecchio interessante. Ha il tragico incorporato, sta su una sedia a rotelle. E’ stato il teorico dell’austerità e della troika, due concetti politici tragici: se hai debiti, tua culpa, ripagali; se non sai autogovernarti, ci penseranno altri. E’ un ordoliberale, il tipo di economista e sociologo decisivo in una fase di ritorno alle prerogative dello stato nell’economia: vuole che il mercato detti legge nel funzionamento dello stato piuttosto che un mercato liberato dallo stato, più o meno. Un tipo, insomma, e se volete, basti pensare al rude trattamento dei greci, un tipaccio. E’ uno che ha detto una cosa enorme al Tagesspiegel: è più importante la dignità della vita. Detta oggi da un uomo di stato di quella caratura è così enorme che quasi tutti hanno fatto finta di niente. Voleva forse dire che per un essere umano è più decoroso morire e lasciare morire invece di bloccare l’energia del futuro e avvilire una società domiciliare e coatta al di sotto del proprio rango? Sì, voleva dire proprio questo. E questo, detto in un contesto italiano pieno di congiunti e affetti stabili e chiacchiere da talk-show pullulanti di filosofi, è un appello al sublime. Significa, con Schiller e con Pico della Mirandola, che se nel tuo spirito la sensibilità creaturale (amore e rispetto per la vita, per esempio) entra in conflitto con l’imperativo morale (fa’ quel che devi secondo la tua volontà libera), allora la risorsa alla quale ricorrere in ultima istanza è quella della dignità.

 

E’ una questione antica, tra Rinascimento Illuminismo e Romanticismo, ma ha risvolti tristemente contemporanei: si chiama Dignitas l’associazione per il suicidio assistito. Ora è vero che abbiamo rimosso la morte, e questo è poco dignitoso, eppure è anche vero che abbiamo elevato la dignità a metro di misura della vita, e questo forse è troppo dignitoso. E’ in nome della dignità della Donna e della libertà procreativa che annientiamo i feti e scartiamo gli embrioni. E’ in nome della dignità che consideriamo il morire un diritto e l’eutanasia un mezzo legale per realizzare quel diritto. E’ in nome della dignità che consideriamo la malattia, anche quella virale, attuale, un insulto alla nostra integrità e non un decorso o se volete un destino. Io penso che la pietas, quella particolare grazia consistente nel rinunciare con amore a un giudizio finale, sospendendo nel pianto e nel dolore la nostra integrità, è moralmente superiore alla dignitas. E attribuisco alla pietà degli antichi latini un potere segreto e maestoso che metto al di sopra del rango, dell’esser degno, di quei tanti significati di dignità che alludono a una gerarchia e a un’aristocrazia del dover essere. Con immenso rispetto per Schäuble e per la Costituzione tedesca, che ha nella dignità, sottile destino di una grande comunità europea, il suo valore fondativo, non desidero essere insignito di alcuna dignità particolare e giudico meglio poter vivere da soggetto e da oggetto della pietas.

 

La storia del virus è poi tutta qui. La sortita solitaria e inascoltata di un grande tedesco in vena di verità difficile dimostra che abbiamo scelto per ora, con tentennamenti, retropensieri luterani, remore da etica capitalistica dispiegata, di non osare la grande scrematura di vecchi e malati, pagando un prezzo notevole per esclusive ragioni di pietà, di grazia e di amore che sono superiori a quelle della dignità.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.