Un'immagine dei lavori di restaurazione della chiesa di Notre-Dame prima dell'incendio di lunedì scorso (Foto LaPresse)

Capire la cattedrale d'Europa

Manuel Orazi

Notre-Dame e il potente simbolismo della sua forma architettonica ci ricordano chi siamo

Il giorno dopo la catastrofe, le nubi del millenarismo si addensano sopra la cattedrale di Notre-Dame, nonostante un cielo terso e la consapevolezza che poteva andare molto peggio. L’incendio è stato domato in una notte, la struttura interna delle volte è rimasta sostanzialmente integra, così come l’altare dove la croce, intatta fra le coltri fumogene, ha accolto i pompieri penetrati coraggiosamente per gettare acqua sul fuoco anche dall’interno, a rischio della vita, salvando peraltro una torre, il rosone du Midi e reliquie importantissime come la corona di spine del Calvario o la tunica di San Luigi dei francesi (il re, crociato e poi santo, che commissionò l’attigua Sainte-Chapelle). Eppure, specie in Italia, si levano alte come le fiamme le metafore millenaristiche, espressione del nostro sguaiato arco costituzionale che va da Giorgia Meloni a Michela Murgia cioè dal tramonto dell’Occidente cacio&pepe al benaltrismo del “la vera tragedia sono i migranti” – senza nominare nemmeno chi, da destra, sperava fino all’ultimo in un attentato di matrice islamica per varare una nuova crociata col colapasta in testa.

 

Fortunatamente oggi ancora svetta Notre-Dame al di sopra della coltre delle nostre misere polemiche metaforizzanti, e la logica soluzione sobriamente enunciata dal presidente Macron, “La ricostruiremo insieme”, aprirà la strada al lavoro dell’ottima pattuglia Acmh (architectes en chef des monuments historiques nationaux) sia alla ricostruzione del mito di Parigi descritto da Giovanni Macchia nel cui ventre sta da nove secoli la grande cattedrale gotica. È l’enorme potere del “simbolismo dimenticato della forma architettonica”, direbbero Robert Venturi e Denise Scott Brown, quello di un edificio simbolo ed espressione della prima nazione moderna, la Francia, che nel XII secolo si è unita in un regno cattolico partorendo anche uno stile che come nessun altro ha una data precisa di nascita: 1140, la posa della prima pietra del coro di Saint-Denis da parte del capomastro, l’abate Suger.

 

Ha scritto Stefano Ray in L’architettura dell’Occidente, che “l’architettura gotica è lo specchio della razionalità storica che muove verso il domani la monarchia francese… in realtà la qualifica gotica dovrebbe essere attribuita a non più di due gruppi di opere, se non a uno solo: le chiese del domaine royal, o ad esse affini, costruite in Francia fra la metà del XII e i primi venti anni del XIII secolo”. Saint-Denis, Laon, Chartres, Reims, Amiens e Notre-Dame dunque sono i veri gioielli della corona che impreziosisce e abbraccia tutta l’Île-de-France, la regione della nuova e prima vera capitale nazionale che ha fatto da modello a tutte le altre.

 

È il centro dell’identità francese. Il mito della cattedrale si è rinforzato ulteriormente nell’800, il secolo dei nazionalismi

 Sostanziale nella Notre-Dame rifondata nel 1163 è lo sviluppo della pianta, con la grande navata centrale e le quattro laterali più strette che girano tutte insieme nell’abside in un formidabile movimento circolare, accentuato in seguito dalle cappelle laterali centrifughe, che è quello della spiritualità contrapposto al movimento lineare della vita profana dei mercanti. Alcune delle pagine più belle degli storici francesi delle Annales e no, che guarda caso nascono tutti medievisti (Henri Pirenne, Georges Duby, Marc Bloch, Lucien Febvre, Fernand Braudel, Jacques Le Goff), sono state scritte proprio per descrivere questi tipi di movimento che da ideale si fece concreto. Tutto nel Medioevo è simbolico, le grandi facciate e i portali pieni di statue di personaggi sacri, reali o mitologici così come le vetrate policrome, mostravano al popolo storie e messaggi come fossero grandi cartelloni pubblicitari della fede e del potere feudale come la porta della Vergine (1210-1220).

 

Tuttavia è all’esterno che il gotico segna la più grande discontinuità verso il romanico dei secoli precedenti: Nikolaus Pevsner, uno dei tanti storici dell’arte ebrei tedeschi esuli dal nazismo, osservava che gli elementi esterni dell’architettura gotica come archi rampanti, contrafforti, timpani, pinnacoli “hanno il fascino di una struttura complicata, non fantastica ed incontrollata, ma regolata da una logica che in realtà non esprime la stessa tensione che regge l’interno. Questo equilibrio di alte tensioni è l’espressione classica dello spirito occidentale, altrettanto definitivo di quanto per lo spirito greco fu il tempio del secolo V a. C.”. Se Saint Denis è il primo atto del gotico, Notre-Dame resta la chiesa madre per la sua posizione al centro della metropoli (che in greco significa città-madre), il cuore commerciale, religioso, politico e infrastrutturale della nazione che ha interessi e relazioni dovunque nel continente.

 

Anche per questo il gotico si diffonde così rapidamente nello stesso secolo di Dante (più volte la Divina Commedia è stata paragonata a una cattedrale), anche grazie alla riforma dell’ordine cistercense di Bernardo da Chiaravalle che lo trasporta in Inghilterra e poi anche in Italia passando dalla Germania – in italiano per secoli l’aggettivo gotico è stato sinonimo di tedesco –, anche se da noi ha sempre faticato ad assumere lo splendore d’Oltralpe, forzato com’era in diverse forme di meticciato col romanico come nelle Abbazie di Fossanova e Veroli o a Perugia e nella Basilica di Santa Chiara di Assisi dove erano molte enclave longobarde cioè in fondo tedesche, appunto.

 

Forse comincia proprio allora il carattere di resistenza alla modernità tipico della nostra penisola: del resto cosa c’è di più anticipatore della modernità di una struttura esile ma resistente, dove i vuoti prevalgono sui pieni e dove le guglie si slanciano orgogliosamente verso il cielo del gotico internazionale? I grattacieli americani ne sono chiaramente figli e non a caso, almeno fino agli anni Trenta-Quaranta, assunsero in maggioranza una decorazione neogotica, come i celebri Chrysler Building ed Empire State di New York (1930-31). Le Corbusier ne moriva d’invidia e in un libro del 1937, Quando le cattedrali erano bianche, (Marinotti € 24) paragonò i grattacieli proprio a Notre-Dame: “Le cattedrali appartengono alla Francia e Manhattan è americana […] Esaminare questo nuovo luogo del mondo che è New York con il cuore gonfio della linfa del Medio evo. Medio evo? Ci siamo oggi: il mondo deve essere ordinato sulle macerie di quello precedente, come già una volta è avvenuto, quando le cattedrali erano bianche, sulle macerie delle antichità”.

 

Ovviamente i sovranisti artistici nostrani degli anni Venti e Trenta come Ugo Ojetti giudicavano pericolose e anti-italiane le derive moderniste intraprese non solo dagli evoluti razionalisti milanesi, ma persino Marcello Piacentini da loro considerato al contrario il conservatore: ferocissime le polemiche lanciate contro quest’ultimo su “Il Selvaggio” da parte degli strapaesani Mino Maccari e Leo Longanesi che tacciavano tutto ciò che non fosse archi, colonne e mattoni toscani come architettura bolscevica.

  

 

Fortunatamente quella struttura oggi ancora svetta al di sopra della coltre delle nostre misere polemiche metaforizzanti

Gli argomenti sciovinisti che si sentono oggi sono ancora figli di quella temperie: Notre-Dame in fondo si può rifare tranquillamente perché non era “autentica”, era stata prima vandalizzata dalla Rivoluzione e quindi ristrutturata con eccessiva libertà da Eugene Viollet-le-Duc intorno al 1860, minimizzando per esempio sulla cosiddetta forêt, il tetto in legno di quercia capolavoro dei maestri d’ascia dell’Ile-de-France. “Se uno studente vuol essere bocciato all’istante nel mio corso è sufficiente che ripeta la storiella inventata dalla teoria del restauro italiano, che andrebbe vietata per legge, quella secondo la quale Viollet-le-Duc è il lupo cattivo e John Ruskin la pecora buona con Camillo Boito in mezzo che dà un colpo al cerchio e uno alla botte”, ci dice il professor Guido Zucconi, storico dell’architettura all’Università Iuav di Venezia. “Io ho il ritratto sopra il letto di Viollet-le-duc, il padre della modernità, raffinato autore dei Dialoghi sull’architettura, studioso e rispettoso delle tecniche costruttive tradizionali in pietra e innovative in ferro, restauratore onesto che denunciava alla luce del sole tutti i suoi cambiamenti apportati dopo approfondimenti attentissimi, battendosi per il restauro di edifici spesso abbandonati e cadenti per secoli come il castello di Pierrefonds.

 

Ruskin sarebbe il buono, quello che avrebbe preferito assistere all’agonia di Venezia però nella sua autenticità di rovina, ma mi faccia il piacere!”. Come risponde allora a chi mette in dubbio l’autenticità di Notre Dame per le molte manomissioni e rifacimenti, specie di tutte le statue esterne prima distrutte dai rivoluzionari? “Ma perché lei crede che la Chiesa dei Frari o la Basilica di San Marco, che è stata tutta raddrizzata nell’800 (Ruskin ovviamente si opponeva, voleva vederlo in macerie) o ancora il duomo di Milano, siano tutti monumenti costituiti di pietre e malte millenarie? Nessuna cattedrale è autentica, se non come idea collettiva, ogni generazione di veneziani ha contribuito all’arricchimento e consolidamento della propria cattedrale, anche nel ‘900 col cemento armato ecc., per non parlare del Teatro La Fenice che oggi è completamente finto”.

 

In effetti le accuse alla flèche di Viollet in legno e ferro, troppo infiammabili, riecheggiano molto le accuse all’arditezza a Riccardo Morandi per il suo ponte genovese in cemento armato precompresso, come a dire: in fondo questi modernisti se la sono cercata. Invece non solo Viollet la preservò demolendo le case basse addossate alla fabbrica (potenziali fonti d’incendio) e di nuovi contrafforti esterni che l’hanno irrobustita staticamente, ma forse allora la chiesa è andata a fuoco perché non era abbastanza moderna: come mai nelle intercapedini del tetto in legno non era presente un banale sistema di sprinkler, gli spruzzatori d’acqua che per legge sono presenti in ogni stanza d’albergo di Las Vegas?

 

In ogni caso lo shock per i francesi è enorme, neanche paragonabile con l’incendio della Cappella della Sacra Sindone, capolavoro barocco di Guarino Guarini a Torino peraltro appena riaperta ventuno anni dopo l’incendio del 1997 per un cortocircuito elettrico nel cantiere, come probabilmente è successo anche a Parigi.

 

Notre-Dame è il centro di gravità permanente dell’identità francese perché coincide con la sua storia nazionale, come già detto, che forse è persino aumentata per contrasto con la Rivoluzione e la laïcité della Repubblica. Il mito della cattedrale si è rinforzato ulteriormente nell’800, il secolo dei nazionalismi: dapprima con l’auto-incoronazione imperiale di Napoleone Bonaparte di fronte a Papa Pio VII (la solita arroganza francese…) ritratta da Jacques-Louis David nella sfarzosa tela oggi al Louvre, quindi con il grande romanzo pubblicato nel 1831. Nel 1957 Roland Barthes ha tracciato un parallelismo tra letteratura e architettura: “Come romanzo, Notre Dame de Paris assomiglia molto al monumento che ne è il personaggio principale: stessa mistura composita di parti (…). E così come il miglior turista, voglio dire il più saggio e meglio remunerato, è colui che sa accettare oggi un edificio nel suo insieme, parimenti il miglior lettore di Hugo è colui che non si preoccupa troppo di distinguere nel libro il volgare dal commovente, la puerilità dalla scaltrezza, l’arcaismo dalla avanguardia. Come cattedrale o come romanzo bisogna prendere Notre-Dame in blocco”.

 

Le vedute della cattedrale dipinte sul finire del secolo di Maurice Utrillo e Henri Matisse hanno incrementato quest’opera di sovrapposizione e identificazione del monumento con la Francia stessa tanto da diventare un’ossessione sia per la destra sia per la sinistra. Da un lato c’è il corrusco finale del mangum opus di Pierre Drieu La Rochelle, Gilles (Giometti&Antonello 2016 € 28, pp. 576) che si chiude con la Madonna – “Sì, la madre di Dio, la madre di Dio fatto uomo […] Il Cristo delle cattedrali, il grande Dio bianco e virile. Un re, figlio di re” – dall’altro la paradossale cerimonia laica di commemorazione funebre di François Mitterrand a Notre-Dame, alla presenza di decine di capi di stato esteri, fra migliaia di rose rosse, simbolo dei socialisti francesi.

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