La cattedrale di Notre-Dame avvolta dalle fiamme (LaPresse)

Dal rogo di Notre-Dame un invito drammatico al rinnovamento

Luca Diotallevi

Che cosa accade se si guarda quanto accaduto a Parigi con le lenti del Von Baltashar di "Abbattere i bastioni"

Roma. "Due sono i mezzi con cui una struttura storica può conservare o riacquistare la propria vitalità per il presente e per il futuro. Uno è violento e viene dall’esterno (…). Il secondo è spirituale e viene dall’interno (…). Ambedue i mezzi possono costituire una grazia: radiosa il secondo, dura il primo". Queste parole scrisse a metà degli anni ’50 Hans Urs von Balthasar in Abbattere i bastioni. Parole così forti da dispiacere anche a un suo amico: Joseph Ratzinger. Forse esse hanno qualcosa da dirci sul significato delle fiamme che hanno avvolto e ferito Notre Dame de Paris. Nell’aggressione del fuoco, oltre l’incidente, potremmo riconoscere una grazia. Una grazia del primo tipo: una grazia "dura". "Dura", ma grazia. Che dunque mai viene a chiudere, ma sempre a riaprire. E' crollato il tetto, hanno retto le altre strutture. Grazie ai meravigliosi pompieri, certo: della grazia non si discutono né si preavvisano le forme storiche. Il crollo del tetto è il manifestarsi con "durezza" di una nuova possibilità, la possibilità di andare oltre, di andare "più in alto".

 

La luce viva è entrata dove non entrava da secoli. La croce e la deposizione hanno assunto nuova visibilità ed a noi è stata concessa una nuova visione. Non perché la penombra di prima non meritasse rispetto, ma perché evidentemente ora è il momento di rialzarsi, tutti, a Parigi e ovunque. La grandezza (materiale e spirituale) del gotico medievale ha coltivato tanto di cui ancora viviamo. All’ombra di Notre-Dame hanno preso i gradi accademici Tommaso e Bonaventura. In quei pressi è stata praticata una delle forme più radicali e precoci di pubblica opinione, nelle quodlibetalia. Lì il vescovo Stefano Tempier decise che neppure la più cristallina metafisica aristotelica poteva essere intronizzata: bisogna sempre continuare a pensare, ascoltare e cercare. E via enumerando, per ciascun ambito della vita. La grandezza di quel gotico, però, non meno di quella del barocco o d’altro, è oggi troppo piccola.

 

Quante buone energie abbiamo speso per conservare? Qualcuna in più doveva forse essere spesa per rinnovare e per camminare attraverso le strade della città, per inter-cedere, come De Certeau attraverso le strade della città di Parigi e come Martini attraverso le strade della città: Gerusalemme. Invece una cappa, fatta di dovuto rispetto, di umiltà, di paura, di pigrizia, ci teneva e ci tiene intrappolati, tutti: credenti e non credenti di queste città. "Chi ci farà rotolare via quella pietra?" (Mc 16, 3) ci stiamo chiedendo, come si chiedevano le donne in cammino di buon mattino verso il sepolcro. Ora, quel tetto, quella gabbia, quella pietra, quella cappa non c’è più. È stato terribile? Sì. E' stata dura? Durissima. L’avremmo voluto? Assolutamente no e non è empio affermarlo. Però ora c’è una possibilità di andare oltre, di andare "più in alto". Chi ci trasporterà più in alto? Nessuno. Ai discepoli fu detto di tornare da dove erano venuti; noi alla nostra vita, ora, però, con una possibilità in più. Non saremo soli, ma nessuno sarà al nostro posto.

 

Sarebbe bello che, una volta garantita la sicurezza, si tornasse ad abitare quella chiesa ancor prima del completamento del suo restauro. Una cattedrale medioevale non era un luogo sacro, ma santo, non era un oggetto, ma un processo, un cantiere sempre aperto. Le preghiere vi cominciavano prima delle inaugurazioni. Sarebbe bello che non la si rifacesse esattamente come era prima. Sarebbe bello la si rifacesse un po’ diversa. Un modesto, pudico, ma fedele e coraggioso "aggiornamento": basterebbe un tocco, nulla di più. (Non sarebbe certo una novità, ma la norma delle più belle chiese cristiane, Notre-Dame de Paris inclusa.) Rifarla identica significherebbe tradirla e tradire persino il sacrificio di quei pompieri anche grazie ai quali ci è stata data la possibilità di andare oltre. Di chi siamo eredi: di Sisifo o di Abramo? Sarebbe giusto che a rifarla non fosse lo stato. Quell’incendio è un suo fallimento: possedere tutto e non saperlo curare. Il popolo di Parigi, non solo i cattolici, è accorso perché sa che Notre Dame è sua, come quello stesso popolo intuisce che, se non è un’orda populista (giacobina ieri e altro oggi), è anche grazie a quella cattedrale. Le cattedrali medioevali erano opere corali di tutte le istituzioni di una città (politiche, religiose, universitarie, economiche …). Che sarebbe per la Francia di oggi, e per tutti, se quella ricostruzione fosse affidata a tutte le istituzioni della città di Parigi e non allo stato!