E se Bolton testimoniasse?

Paola Peduzzi

Non tutto l’impeachment è noia: si valuta pure il prezzo di un tradimento (coi baffi)

Nell’impeachment dal finale annunciato è arrivato un colpo di scena. Ha i baffi bianchi (che da sempre fanno orrore al soggetto dell’impeachment, Donald Trump), una lunga carriera nell’apparato conservatore di politica estera, un incarico nell’attuale Amministrazione e un successivo licenziamento: si chiama John Bolton e ha scritto un libro. “The Room Where It Happened”, così si intitola il memoir dell’ex consigliere per la Sicurezza nazionale, uscirà a marzo, ma una copia del manoscritto è stata consegnata il 30 dicembre scorso alla Casa Bianca per la revisione di sicurezza che viene fatta normalmente quando si trattano informazioni classificate. Chi abbia visto e letto il manoscritto non si sa – tutti gli esperti consultati nelle ultime ore dicono che questi testi vengono fatti circolare anche presso lo staff, per avere dei resoconti, quindi non è dato sapere chi effettivamente lo abbia visionato – ma poi è arrivato al New York Times che domenica sera ha pubblicato due righe importanti. Bolton sostiene che Trump gli abbia esplicitamente detto che “voleva continuare a congelare i 391 milioni di dollari in assistenza per la sicurezza destinati all’Ucraina fino a che gli ucraini non avessero aiutato l’inchiesta sui democratici, inclusi i Biden”. In sintesi questo leak mostruoso implica tre cose: la formalizzazione del ricatto da parte di Trump nei confronti dell’Ucraina, che per ora, nel processo di impeachment, è trattato come una presunzione da parte dell’accusa, senza alcuna prova concreta; l’indebolimento della linea di difesa finora adottata dall’Amministrazione (che sostiene che non ci sia stato alcun reato); una spaccatura dentro ai repubblicani, la prima, il che significa che questa faccenda che Trump e il suo partito vorrebbero chiudere in fretta (per celebrare entro breve la vittoria e far continuare i festeggiamenti in campagna elettorale) rischia di complicarsi e allungarsi.

 

Il punto di rottura oggi è anche, per la prima volta, molto semplice, il che aiuta un procedimento che come si sa stufa anche perché è pieno di cavilli poco comprensibili: ammettere nuovi testimoni. I democratici vorrebbero invitare Bolton come testimone al Senato – lui ha detto di essere disponibile – ma per averlo, lui ed eventuali altri, bisogna organizzare una votazione. Prima quindi bisogna convincere il leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, a dare il via libera al voto, poi devono votare assieme ai democratici almeno quattro repubblicani: soltanto così saranno ammessi altri testimoni. Per la prima volta, sta prendendo forma una frattura dentro alla compagine repubblicana, perché la fedeltà al presidente è in cima alle priorità, certo, ma di tutto questo complesso processo uno degli elementi più chiari ha a che fare non tanto con gli abusi di potere o la Costituzione, quanto con il buon senso: se non vuoi ammettere testimoni, vuol dire che hai qualcosa da nascondere. E se lasci che quel qualcosa resti nascosto, la complicità comincia a diventare più di una normale, scontata scelta politica di partito. I lealisti sono spaventati, dicono che se si aprono le porte a Bolton poi le pressioni per avere altri testimoni sotto giuramento dell’Amministrazione – ambitissimo è Mike Pompeo, attuale segretario di stato apparso parecchio nervoso in questi giorni – diventerebbero tante, e forse incontenibili. Per questo, la linea difensiva dell’Amministrazione non è cambiata – it’s nothing – e si è aggiunta una linea: Bolton lo fa per vendere qualche copia in più (lo hanno detto sia Trump sia il suo avvocato Rudy Giuliani: è già slogan). Ma mentre si va a caccia di chi ha fatto avere al New York Times la copia del libro di Bolton, c’è un altro quesito, anche questo molto semplice: il rifiuto nei confronti dei testimoni nasce dal fatto che l’Amministrazione ha letto già nel dicembre scorso il libro di Bolton e da allora fa di tutto per evitare che vada in aula?

 

In questi giorni, qualche risposta si otterrà, ma il colpo di scena non soltanto ci aiuterà a dare un prezzo agli eventuali tradimenti, ma ci ricorda anche di buttare un occhio all’impeachment, ogni tanto: è stato studiato come un processo di rivelazione e svelamento, e se finisce in niente è perché i repubblicani sono più dei democratici, non perché non è stato rivelato o svelato niente.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi