Bernie Sanders (LaPresse)

Bernie Sanders manda al diavolo il bon ton

Paola Peduzzi

Mancano venti giorni tondi al primo appuntamento delle primarie democratiche americane. Il senatore del Vermont sente lo slancio e attacca anche “l’amica” Warren

Bernie Sanders ha rotto il patto di non belligeranza che aveva siglato con Elizabeth Warren, lei è molto arrabbiata e ripete che il senatore del Vermont la pagherà cara, il fuoco amico ha sempre un costo alto, ma intanto assiste quasi impotente all’ascesa di Sanders. Mancano venti giorni tondi al primo appuntamento delle primarie democratiche americane e Sanders risulta in testa nei sondaggi dei caucuses del 3 febbraio in Iowa (la Warren è seconda), sta ottenendo endorsement preziosi nel mondo della sinistra più giovane e più radicale.

 

È la riedizione dei BernieBros del 2016, le folle giovani e festose a favore di Sanders, ma questa volta oltre all’entusiasmo c’è anche una grande determinazione a portare a buon fine la campagna elettorale delle primarie. Nel 2016 aveva vinto Hillary, oggi Sanders non vuole farsi sfuggire di nuovo l’occasione di sfidare Donald Trump, e pazienza se aveva garantito alla Warren, con cui è amico e ha collaborato in passato, che il fronte più radicale (loro lo chiamano “progressista”, non ci si intende più nemmeno sulle definizioni) non si sarebbe fatto indebolire da guerricciole interne: sono le primarie queste, la stagione dei cannibali. Il sito di Politico ha ottenuto le linee guida che la campagna di Sanders ha fatto circolare presso i volontari: “Mi piace Elizabeth Warren” è una frase che si può dire ma anche tranquillamente omettere quando si parla con gli elettori, quel che è importante però è che si dica che la Warren “non allarga la base” dell’elettorato democratico, non mobilita, non accende: lei si rivolge a democratici istruiti e abbienti che comunque voterebbero il Partito democratico, ma per battere Trump ci vuole ben altro (la Warren è comunque meglio lei di Biden, che non ha nemmeno volontari cui fare affidamento, dice la campagna di Sanders, perché non scalda nessuno; e Pete Buttigieg, che nel sondaggio Des Moines Register/Cnn è al terzo posto, ma non potrà mai conquistare l’elettorato afroamericano).

 

Quando la Warren si è pubblicamente lamentata degli attacchi – “sono delusa”, ha detto, Bernie “mi conosce” e sa “che movimento grassroot sto cercando di costruire” – il senatore del Vermont ha fatto finta di non sapere nulla, c’è tanta gente che lavora a questo progetto, sarà stato un volontario che ha fatto di testa sua. Ma una fonte vicina alla campagna ha detto sempre a Politico: “Bernie diceva che ci avrebbe fatto sapere quando era ok per lui attaccare un altro candidato, quindi se sta accadendo, lui lo sa”.

   

Questo è il momentum di Sanders: l’uccisione del generale iraniano Suleimani da parte dell’Amministrazione Trump gli ha permesso di compattare il mondo pacifista, di attaccare Biden che sulla guerra all’Iraq era stato accondiscendente e quindi collaborazionista, di cavalcare il “no war” di sinistra dandogli uno slancio attuale e urgente, di mettere a fuoco la sua proposta non soltanto sulle questioni domestiche ma anche su quelle internazionali, sfoderando la purezza ideologica di cui va tanto fiero – compromessi mai – e facendo ricorso a molti ricordi della sua lunga carriera in cui ha dimostrato di essere contrario alle guerre e di essere un sincero combattente per i diritti civili.

 

I giovani si sono galvanizzati, le ragazze della “squad” radicale che lo sostengono – soprattutto Alexandria Ocasio-Cortez – ripetono che bisogna dire di no a una guerra con l’Iran che non c’è e intanto il sostegno dei movimenti cresce, si consolida, ribalta la sensazione molto presente tra ottobre e novembre anche nell’entourage sandersiano secondo cui la prescelta sarebbe stata la Warren. Il vento è girato, seppure di poco – i margini tra i due sono sottili, e a livello nazionale è sempre Biden in testa – e Sanders non vuole sentirsi dire che bisogna stare uniti e accorti, così come non lo aveva voluto sentire nemmeno dopo che era stato battuto dalla Clinton. Gli obamiani dicono in modo sempre più esplicito che Sanders è il candidato dei sogni di Trump; il presidente provoca Bernie su Twitter e lui risponde; le lezioni di bon ton e di dialogo sono ufficialmente sospese.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi