Milano, Festa di Ferragosto al parco Sempione (LaPresse)

“Ok boomer” entra nelle campagne elettorali con effetti disastrosi

Paola Peduzzi

La rivoluzione di chi dice: facciamo pace

Ok boomer” è un tormentone che va bene per ogni risposta, anzi per ogni non risposta. Lo senti ripetere ovunque, soprattutto nei commenti alla politica perché come ha scritto Helen Lewis sull’Atlantic, “quel che i boomers vogliono, i boomers ottengono” e questa semplificazione ostile sta condizionando molte campagne elettorali. Lo scontro generazionale calato nei dibattiti diventa un “ok boomer” via l’altro, e più i politici provano a cercare spazi e appigli tra i giovani più si sentono rifiutati, perché il patto generazionale sembra essersi interrotto: i giovani non stanno meglio dei loro genitori, si sentono meno sicuri, meno coccolati, meno capiti. E si ribellano, ci rubate il nostro futuro oppure più semplicemente ok, boomer.

  

Eppure molti giovani finiscono per entusiasmarsi per gli ultraboomers: in America si parla per la maggior parte del tempo delle chances di successo elettorale di ultrasettantenni (da Elizabeth Warren a Michael Bloomberg, passando per Bernie Sanders e ovviamente Donald Trump); nel Regno Unito che la settimana prossima va al voto le speranze della sinistra e di molti giovani di sinistra sono riposte su un signore col borsello che a maggio ha festeggiato 70 anni tondi tondi, Jeremy Corbyn. Anche nella sinistra tedesca a caccia di un nuovo leader il più votato dai giovani è stato Norbert Walter-Borjans, 67 anni e semisconosciuto a livello nazionale.

  

C’è naturalmente una connessione tra questi leader considerati anti sistema e radicali e la voglia di cambiamento dei giovani: nel 2016 il cosiddetti Bernieboys che riempivano le piazze per Sanders contro Hillary (che non era una giovincella) avevano ampiamente spiegato perché un leader anziano era la loro star, e la motivazione era che Sanders non tutelava soltanto gli interessi dei più anziani come lui. Nel 2017, i conservatori di Theresa May che avevano dalla loro parte il voto dei più anziani (gli stessi che hanno votato anche a favore della Brexit, pure se erano stati i giovani a sprecare l’opportunità data dal referendum: attivissimi sui social in difesa del loro futuro, poi non andarono a votare, pratica antica ma quantomai utile quando si vuol far sentire la propria voce) persero consensi a causa di un errore fatale. Prima del voto si discusse della cosiddetta “dementia tax”, che già dal nome fa intendere il suo obiettivo, e pure se il governo conservatore si affrettò a ritirare la proposta dopo l’accoglienza negativa, lo sdegno rimase e si manifestò poi nelle urne.

   

Per la politica maneggiare lo scontro generazionale è diventato molto difficile, perché la frattura è sempre più profonda e l’unico esito possibile è trovarsi con una delle due parti molto arrabbiata. Come spesso accade, si tratta allora di fare un calcolo: chi fa più male, quando è arrabbiato? David Willetts, che è un consevatore-boomer inglese che pose la questione generazionale nel 2010, cioè quando la polarizzazione non era ancora un problema tanto discusso quanto lo è oggi, dice che i più anziani sono i più arrabbiati e i più vendicativi, e per questo è tanto difficile fare proposte politiche che non siano nel loro interesse. Molti mercati, a partire da quello immobiliare fino a quello dei giornali e dei media tradizionali, dipendono dai più anziani (che hanno almeno una casa di proprietà e sanno cos’è un’edicola) ed è da lì che parte la resistenza più forte e più rabbiosa al cambiamento chiesto dai giovani.

 

I quali però – lo ammette lo stesso Willetts che pure da anni, a livello locale, lavora per colmare questa divergenza che sta creando una lotta molto feroce – rispondono con altrettanta rabbia e con il disprezzo di “ok boomers”. L’esito è quel che vediamo, tentativi goffi di prendersi il voto giovanile e un cumulo di non risposte, non proposte, non cambiamenti. Come nelle famiglie, in cui si litiga parecchio per la politica, la sommatoria di rabbie finisce con porte sbattute e permessi negati. I più rivoluzionari oggi sono quelli che sanno dire: facciamo pace.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi