(foto dal profilo Twitter di Mallory Simon)

La piazza armata

Daniele Raineri

A Richmond in Virginia c’è stato un gran raduno di milizie e fucili, fra tradizione e destra apocalittica

Roma. Ieri a Richmond, capitale dello stato americano della Virginia, migliaia di persone si sono radunate per manifestare a favore del diritto di possedere e portare armi. Era una protesta perfettamente legale sotto ogni punto di vista che si prestava ad almeno due interpretazioni. Per l’America che sta con il presidente Donald Trump era un’esibizione di fierezza, per la parte di paese che detesta il trumpismo era uno spettacolo grottesco e intimidatorio, per di più organizzato nel giorno dedicato a Martin Luther King, il predicatore eroe dei diritti civili ucciso da un colpo di fucile. A parte la zona del Campidoglio, dove era vietato arrivare con le armi, i manifestanti hanno occupato le strade di Richmond in tenuta da guerra, con i fucili in mano, le giberne sul petto alcuni con gli elmetti in testa. C’era anche gente con il volto coperto. Il proprietario di un poligono di tiro dava interviste con in mano un Barrett calibro 12,7 millimetri, un fucile usato dai cecchini militari per colpire bersagli a distanze superiori al chilometro. La polizia ha limitato molto la sua presenza per non creare attriti e gli organizzatori di una contromanifestazione hanno desistito per disinnescare la tensione. In pratica il campo è stato lasciato libero con la speranza che la concentrazione di uomini armati si sciogliesse senza problemi (è quello che succede mentre questo giornale va in stampa).

 

La protesta in Virginia nasce dal fatto che a novembre i democratici hanno vinto le elezioni con un programma politico che prometteva una maggiore regolamentazione delle armi e che per rispettare l’impegno stanno approvando tre leggi che vietano l’acquisto di più di un’arma al mese, rendono obbligatori alcuni controlli per chi intende acquistare un’arma (precedenti penali e sanità mentale) e infine vietano di portare armi nei parchi e in alcuni edifici pubblici. Come si vede non si tratta di grandi restrizioni della libertà personale, ma l’argomento eccita e il risultato è una protesta che ha riempito le strade e ha attirato molti partecipanti da lontano. Alcune comunità locali hanno già dichiarato in opposizione che diventeranno “santuari” a favore delle armi e che quindi non applicheranno le leggi statali. In discussione c’è anche una legge che permette di togliere le armi a una persona in caso di segnali d’allarme (per esempio è possibile che siano confiscate le armi a uno che scriva su Facebook: “Odio tutti i miei colleghi, domani li abbatto uno per uno a fucilate”) sul modello di quelle in vigore in altri stati. Questo tema, la confisca delle armi da parte del governo, è un tema carissimo all’estrema destra americana. I suprematisti bianchi / neonazisti sono convinti che la guerra fra le razze che loro auspicano (uno dei motti è “Race war now!”) comincerà proprio quando il governo tenterà di prendere le armi alla popolazione bianca americana che si ribellerà.

 

Il timore nei giorni scorsi era che i gruppi di estrema destra – come Atomwaffen e The Base, gente che proclama la necessità di un genocidio delle minoranze per ristabilire il controllo razziale del paese – riuscissero a infiltrare la manifestazione per fare proselitismo, per ottenere visibilità e per scatenare scontri. Nel loro gergo la giornata di protesta di Richmond era un “boogaloo”, un evento che potenzialmente può innescare la guerra tra razze. Dal punto di vista dell’ideologia quello che distingue questi gruppi da quelli del passato è l’accelerazionismo, ovvero la fiducia nel fatto che i tempi siano maturi per il dissolvimento degli Stati Uniti come li conosciamo e che saranno sufficienti alcuni eventi catalizzatori, come scontri violenti oppure attentati, per accelerare il corso naturale delle cose (quello che loro credono sia il corso naturale delle cose: la nascita di un etnostato bianco che combatte contro neri, ebrei e altre minoranze).

 

L’ambiguità della protesta di Richmond sta qui, nell’impossibilità di sapere chi ci fosse dietro alcune delle maschere da teschio e dei passamontagna che circolavano nelle strade e quindi di capire fino a che punto fosse soltanto una fiammata di spirito antigovernativo come da tradizione americana oppure invece una tappa del viaggio dell’estrema destra per diventare rilevante.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)