Papa Francesco apre il Sinodo per l’Amazzonia (foto LaPresse)

Liberare la chiesa

Matteo Matzuzzi

L’ambientalismo e l’ennesima rivolta dei vescovi tedeschi contro Roma sono i temi dello scontro tra i fronti pronti alla battaglia sinodale. E’ il dramma di un cattolicesimo che “si vuole giustificare davanti al mondo”. Intervista (con durissimo j’accuse) al cardinale Müller

Il vescovo di Essen, nella Ruhr, mons. Franz-Josef Overbeck, la scorsa primavera aveva annunciato al mondo che dopo il Sinodo sull’Amazzonia nulla nella chiesa sarebbe stato più come prima. Tutto sarebbe cambiato, perché nell’Aula Nuova, oltre a discutere del destino delle popolazioni che abitano i villaggi sparsi nella foresta, i padri avrebbero dovuto focalizzarsi sulla “struttura gerarchica della chiesa”, “la sua moralità sessuale”, “l’immagine del sacerdozio”, “il ruolo delle donne che deve essere riconsiderato”. Il vescovo tedesco è sicuro che ciò accadrà, dopotutto l’elenco dei partecipanti all’assise voluta dal Papa consente d’affermare con una certa sicurezza che se dibattito ci sarà non potrà che svilupparsi attorno a un terreno comune che avrà nel desiderio del cambiamento il suo tratto caratterizzante. Il neocardinale Michael Czerny, gesuita, ai vertici dell’organizzazione sinodale, ha ribadito che si discute di Amazzonia per poi ampliare il discorso alla chiesa universale. Il cardinale brasiliano Cláudio Hummes, relatore generale del Sinodo e molto vicino al Papa – è lui che gli ha suggerito di prendere il nome di Francesco – durante la conferenza stampa di presentazione dell’appuntamento assembleare ha detto con grande chiarezza che “il contesto ampio è la grave e urgente crisi socio-ambientale di cui parla l’enciclica Laudato Si’: la crisi climatica, ossia il riscaldamento globale per l’effetto serra; la crisi ecologica come conseguenza del degrado, contaminazione, depredazione e devastazione del pianeta, in particolare in Amazzonia; la crescente crisi sociale di una povertà e miseria lampante che colpisce gran parte degli esseri umani e, in Amazzonia, specialmente gli indigeni, i rivieraschi, i piccoli agricoltori e quanti vivono nelle periferie delle città amazzoniche e altri ancora”. Serve, ha aggiunto, sviluppare una “ecologia integrale” perché “tutto è interconnesso, gli esseri umani, la vita comunitaria e sociale, la natura. Ciò che di male si fa alla terra, finisce col fare male agli esseri umani e viceversa. C’è bisogno di una conversione ecologica, ispirata a san Francesco d’Assisi”. Avvenire, in un’ampia analisi pubblicata giovedì e firmata dall’editorialista Stefania Falasca, ha scritto che “senza l’Amazzonia il mondo non ha speranza di vita. Qui si gioca il futuro del pianeta e dell’umanità”.

 

“Il celibato sacerdotale non c’entra niente con la regione amazzonica”, eppure è uno dei temi al centro dell’assemblea

Tanto per chiarire che la questione è centrale e seria, non da conversazione pomeridiana davanti a una tazza di tè e a qualche biscotto. Al di là delle giuste considerazioni sulla sofferenza del polmone verde (che polmone comunque non è, visto che come ha scritto il Guardian – non certo un caposaldo del negazionismo in ambito climatico – la foresta amazzonica produce meno del sei per cento dell’ossigeno necessario alla Terra), è ormai acclarato che il vero tema del contendere sarà un altro, non la saggezza degli indios “che ci insegna a vivere in armonia col creato”, per citare ancora il quotidiano della Conferenza episcopale italiana. Ridata la comunione ai divorziati risposati, seppure dopo una valutazione del singolo caso che è più severa in certi contesti e più veloce in altri, è il celibato che dominerà, si vedrà in che modo, l’assise. Il che può destare sorpresa, considerando che “il celibato sacerdotale non c’entra niente con la regione amazzonica”, dice al Foglio il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito della congregazione per la Dottrina della fede. Il fatto, aggiunge il porporato tedesco, “è che alcuni vogliono usare e strumentalizzare questo Sinodo per promuovere una loro agenda finalizzata a dare il via libera all’ordinazione delle donne, a mettere in discussione il celibato sacerdotale e l’autorità ecclesiastica, vista come un mero potere politico”. Il cardinale Müller al celibato ha dedicato un volume, Affinché siate una benedizione, dodici lettere sul sacerdozio che l’editore Cantagalli manderà in libreria il prossimo 24 ottobre. Concorda con il confratello tedesco Overbeck, benché da una prospettiva diametralmente opposta: il Sinodo, dice, “avrà conseguenze sulla chiesa universale, questo è chiaro. Se si ascoltano le voci di alcuni dei protagonisti di questa assemblea si comprende facilmente che l’agenda è tutta europea. Un’agenda di una chiesa in crisi: sempre più vuota, con la partecipazione domenicale ridotta ai minimi termini, i seminari e i monasteri vuoti, la catechesi nulla. In Baviera, trent’anni fa si dichiarava cattolico il sessanta per cento della popolazione, oggi il trenta. La metà. Mi chiedo – dice il cardinale – se si vuole riformare la chiesa in Gesù Cristo con questa qualità spirituale”.

 


Papa Francesco riceve in Udienza il Cardinale Reinhard Marx (foto LaPresse)


  

“Il Sinodo avrà conseguenze sulla Chiesa universale”, avevano preannunciato dalla Germania già in primavera

Il problema di fondo è che si è radicata, in maniera inesorabile, la convinzione che la chiesa sia un’organizzazione non governativa, “ed è strano che coloro che si mostrano e professano come i vassalli perfetti del Papa siano i primi a non rispettarne le parole quando quest’ultimo ha parole forti contro il rischio di trasformare la chiesa in una ong. Faccio un esempio. Prendiamo il motu proprio della scorsa settimana, Aperuit illis, sulla Parola di Dio. E’ un documento molto chiaro, direi classico. Perché non viene rispettato? Basterebbe leggerlo per trarre utili suggerimenti al fine di coprire le lacune dell’Instrumentum laboris del Sinodo amazzonico. Un documento che non parla della rivelazione, del verbo incarnato, della redenzione, della croce, della resurrezione, della vita eterna”. 

 


“I vescovi tedeschi non vogliono rompere con Roma. Puntano a imporre la loro agenda, quella di un cattolicesimo declinante. Pensano che Cristo non fosse dotto quanto loro”


 

Perché nel documento preparatorio non si parla della rivelazione? Una risposta a tale lacuna, probabilmente, la si trova nel pensiero del teologo Paulo Suess, tedesco di Colonia ma dal 1966 in Brasile. Suess, che nel 2007 fu tra i più veementi critici del discorso di Benedetto XVI ad Aparecida – definì “indifendibili” le parole del Papa a proposito del rapporto tra la fede e le popolazioni indigene – sostiene la necessità di sviluppare “una nuova comprensione della rivelazione di Dio”, “storicizzando” tale concetto in modo che sia possibile “scoprire la rivelazione divina tra questi popoli indigeni”. E per quanto riguarda il discrimine sottile che c’è tra proselitismo ed evangelizzazione, Suess chiariva: “Non abbiamo il diritto di fare proselitismo, sminuire una religione piuttosto che un’altra o invogliare alle conversioni. Il popolo deve decidere quale sia la migliore religione per questo momento storico”. Al di là di tali punti di vista, Müller ribadisce la sua posizione: “Nessun termine del Credo è menzionato nel documento – che comunque, ha detto il segretario generale cardinale Lorenzo Baldisseri, non è un atto di magistero, ndr –. Nel motu proprio, invece, tutto è detto e scritto, ed è su questo che bisognerebbe fermarsi”, osserva Müller. Su chi siano i “vassalli” che professano l’incrollabile fede nel Sommo Pontefice salvo poi disattenderne le direttive, vi sono pochi dubbi: i vescovi tedeschi, che nella loro quasi totalità hanno deciso la scorsa primavera di indire un Sinodo vincolante per la chiesa in Germania che si ripromette di affrontare proprio i temi che evidenziava mons. Overbeck. Sinodo che ha ricevuto prima l’altolà del Papa in persona a mezzo lettera, il 29 giugno scorso, e poi del prefetto della congregazione per i Vescovi, il cardinale canadese Marc Ouellet. Avvertimenti inutili, visto che la compagine guidata con pugno fermo dal cardinale Reinhard Marx ha confermato di volere andare avanti per la propria strada nonostante gli ultimatum romani, con tanto di statuti già approvati. Dopotutto, è la Conferenza episcopale il cui presidente, tra un Sinodo e l’altro sulla famiglia, disse che “non sarà Roma a dirci quello che dobbiamo fare in Germania”. Il dilemma è se si tratti della esplicita volontà di rompere, magari con uno scisma – evocato dal Pontefice e nei giorni scorsi dal cardinale Rainer Maria Woelki –, o piuttosto di alzare la posta per ottenere maggiore autonomia dottrinale, in linea con i propositi di Evangelii gaudium, il programma del pontificato di Francesco pubblicato nel novembre del 2013. “La chiesa tedesca – dice Müller – non vuole la rottura perché vuole essere parte della chiesa universale. I vescovi tedeschi rispettano il Pontefice, sanno che è molto conosciuto e considerato. Però vogliono sviluppare la chiesa cattolica secondo il loro pensiero. Vogliono quasi rifondare la chiesa cattolica”. Superbia? “Pensano che Cristo sia solo un uomo vissuto duemila anni fa, ritengono che non fosse un uomo moderno, sono convinti che non avesse nulla della loro dotta formazione. Nessun problema, dal loro punto di vista non si tratta di deprecare tale situazione, ci mancherebbe. Pensano però che sia necessario riempire queste lacune e mancanze, e – sempre seguendo il filo logico del pensiero che va per la maggiore in Germania – spetta a loro agire”. Ambizione alta. “Il cardinale Marx in un’omelia ha domandato retoricamente: ‘Se Cristo fosse qui oggi, direbbe ciò che disse duemila anni fa?’”. Questione delicata. “Ma Cristo non è una figura storica come Cesare. Gesù Cristo è il risorto presente, celebra la messa tramite il suo rappresentante ordinato sacerdote. E’ il soggetto della chiesa e la sua Parola rimane e vale in eterno. Cristo è la pienezza della rivelazione, per cui non vi sarà un’altra rivelazione. Siamo noi che dobbiamo cercare di conoscerla di più e meglio, ma non possiamo di certo cambiarla. Cristo è insuperabile e irreversibile e questo oggi non pare essere molto chiaro a certe latitudini”.

 

Con le categorie del secolarismo non si possono comprendere l’indissolubilità del matrimonio, così come il celibato o la verginità negli ordini religiosi

Ma sostenere il via libera ai viri probati, cioè l’ordinazione di uomini sposati per far fronte al decremento inesorabile di sacerdoti significa mettere in discussione la rivelazione? Sulla questione c’è molta prudenza. Se una parte consistente della gerarchia, soprattutto latinoamericana ed europea, sostiene che non vi sono alternative, altri frenano. L’ha fatto il cardinale Ouellet, autore di un altro libro Amici dello sposo. Per una visione rinnovata del celibato sacerdotale (Cantagalli) che presentando mercoledì scorso il libro ha detto di non essere contrario ai viri probati, bensì “scettico”. Come scettico, a suo dire, “è uno sopra di me che però autorizza il dibattito”. “Il celibato sacerdotale – dice il cardinale Müller – si può capire solo nel contesto della missione escatologica di Gesù, che ha creato un mondo nuovo. E’ stata una nuova creazione. Con le categorie del secolarismo non si possono comprendere l’indissolubilità del matrimonio, così come il celibato o la verginità degli ordini religiosi. Né, con tali categorie, si possono risolvere problemi che hanno la loro origine esclusivamente nella crisi della fede. Non si tratta di reclutare più gente per amministrare i sacramenti. E’ necessaria una preparazione spirituale e teologica, bisogna entrare nella spiritualità degli apostoli, non prestando ascolto alle agenzie laiche che consigliano molto e su molte cose per ragioni del tutto contrastanti con la missione della chiesa. Serve spiritualità, non mondanizzazione”. Il prefetto emerito della congregazione per la Dottrina della fede prende a esempio la riforma della curia romana, che dovrebbe trovare realizzazione tra non molto dopo sei anni di lavoro e un titolo provvisorio, Praedicate evangelium. Il peccato originale della riforma, secondo lui, è proprio nell’idea di fondo: “La curia non è un apparato, un’azienda con tanti uffici. Tutti i collaboratori della curia, dal primo cardinale all’ultimo usciere, lavorano spiritualmente al servizio del ministero papale. Ho detto spiritualmente, perché è questo che serve, la spiritualità. San Paolo ha detto ‘Non conformatevi al mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio’. La chiesa non è l’Onu”. Concetto, questo, ripetuto con altre parole anche dal cardinale Robert Sarah, prefetto della congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti nel suo ultimo libro: “Mi rammarico del fatto che molti vescovi e molti sacerdoti trascurino la loro missione essenziale, che consiste nella propria santificazione e nell’annuncio del Vangelo di Gesù, per impegnarsi invece in questioni sociopolitiche come l’ambiente, le migrazioni o i senzatetto. E’ un impegno lodevole occuparsi di questi temi. Ma se trascurano l’evangelizzazione e la propria santificazione si agitano invano. La Chiesa non è una democrazia nella quale alla fine è la maggioranza a prendere le decisioni. La Chiesa è il popolo dei santi”.

 

Mons. Erwin Kräutler disse tre anni fa: “Dobbiamo avanzare suggerimenti coraggiosi. Per esempio, possiamo pensare a uomini e donne ordinati per presiedere l’eucaristia”

Una delle ragioni portate a sostegno del placet consiste nel fatto che decine di villaggi vedono un sacerdote solo una o due volte all’anno, potendo così comunicarsi solo in tali circostanze. Troppo poco, sostiene una corrente assai forte, bisogna provvedere. Il più convinto è mons. Erwin Kräutler, vescovo austriaco prelato emerito di Xingu, diocesi dell’Amazzonia – territorialmente la più estesa del Brasile – che ha guidato dal 1981 al 2015, succedendo allo zio Erich. Kräutler, vicino alla teologia della liberazione, è considerato uno dei veri animatori del Sinodo, tanto da essere stato incluso nel Consiglio pre-sinodale. Molte delle sue idee sono finite nell’Instrumentum laboris, e si tratta di idee cristalline: “Dobbiamo avanzare suggerimenti coraggiosi. Per esempio, possiamo pensare a persone, uomini e donne, leader di una comunità che siano incaricati – e a tal fine, ordinati – per presiedere l’eucaristia domenicale”. Nel suo libro Abbi Coraggio, cambia ora il Mondo e la Chiesa!, pubblicato nel 2016, va oltre perfino l’ipotesi di dare il via libera ai viri probati: “Una possibilità ecclesiale comprovata sarebbe quella di permettere ad experimentum, in Amazzonia, che uomini e donne sposati che dirigono una comunità possano presiedere l’eucaristia”. 

 

“Ma per me non è una soluzione che a farlo debbano essere solo i tanto citati viri probati, dal momento che ciò vorrebbe dire che solo gli uomini potrebbero assumere questo ministero pieno. Invece nello Xingu oggi due terzi delle comunità sono diretti da donne”. E, in modo ancora più esplicito, Kräutler osserva che già “ci sono molte donne che preparano la liturgia domenicale, esistono uomini giovani e vecchi che si impegnano volontariamente con la comunità. Con la dovuta preparazione, tali persone potrebbero essere formate anche per presiedere l’eucaristia, non come sacerdoti di seconda classe, bensì come donne e uomini ordinati per la loro comunità al fine di presiedere il mysterium fidei, la celebrazione eucaristica. L’ideale sarebbe averne due o tre per ogni comunità”.

 

“Ma non esiste né può esistere un diritto al sacramento”, commenta Müller. “Noi siamo creature di Dio e una creatura non può reclamare un diritto al suo creatore. La vita e la grazia sono un dono. L’uomo ha il diritto di sposarsi, ma non può pretendere che una determinata donna lo sposi rivendicando un diritto specifico. Gesù ha eletto liberamente fra tutti i suoi discepoli dodici di essi, presentando così la sua autorità divina. Ha scelto quelli che ha voluto, è Dio che sceglie. Nessuno può entrare nel santuario senza essere chiamato. Ancora una volta prevale la mentalità secolarizzata: si pensa come gli uomini, non come Dio”, aggiunge Müller. Mentalità secolarizzata che è ben evidente, secondo il prefetto emerito di quello che fu il Sant’Uffizio, anche nella battaglia per la salvaguardia dell’ambiente, con i suoi integralismi che sembrano non aver risparmiato neppure vasti settori ecclesiali. Le campagne di sensibilizzazione per la custodia del Creato finite per sposare le teorie più catastrofiste in campo climatico, dando voce e offrendo pulpiti anche a quanti da decenni sostengono che tutto sarebbe risolto se sul pianeta Terra ci fosse meno gente, operazione possibile con un chirurgico controllo delle nascite.

 

Quattro anni fa, il gesuita James Schall (1928-2019), a lungo titolare della cattedra di Filosofia politica alla Georgetown University, commentando i paragrafi più green dell’enciclica Laudato Si’ scrisse che da quel che si sente in giro pare di capire che “la vera missione umana sia quella di mantenerci in vita su questo pianeta il più a lungo possibile. Questo sforzo è il compito serissimo che l’umanità è chiamata a compiere. E tutti gli altri scopi, gli altri fini umani, diventano insignificanti. L’alternativa al Cielo diventa così la colonizzazione interstellare o il mantenere la terra incontaminata”. Quanto alla posizione della chiesa sul riscaldamento globale, in un’intervista al Foglio Schall fu altrettanto netto: “La chiesa rischia di diventare ridicola se agisce al di fuori del proprio campo, confondendo la scienza, riformabile quanto ai princìpi, con quelli che sono i fatti. La questione più problematica è lo status scientifico della posizione del Papa sul riscaldamento terrestre. Nella migliore delle ipotesi si tratta di opinioni sostenute da qualche prova, ma Laudato Si’ non menziona alcuna prova contraria”. E’ vero, tutti i Papi hanno parlato di ambiente, di salvaguardia del creato. Non tutti, però, allo stesso modo. Benedetto XVI, nell’enciclica Caritas in veritate, ha riproposto come obiettivo centrale lo sviluppo umano integrale, con al centro l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. Oggi, anche tra parecchi partecipanti al Sinodo amazzonico, tra membri votanti e uditori, prevale il concetto di “sviluppo sostenibile”, con le sue ovvie derive: dal controllo delle nascite alla condanna del mondo ricco sfruttatore, l’economia che uccide. Sono conciliabili le due teorie? Il cardinale Müller cita di nuovo il motu proprio papale Aperuit illis: “Tutto deve cominciare con la Parola di Dio e questa ci dice che l’uomo è il culmine della creazione. Assodato ciò, come si fa a sostenere, come fa una certa ideologia ambientalista, che l’uomo è il nemico del pianeta e ha una colpa verso Dio? La chiesa è di Gesù Cristo e deve predicare il Vangelo e dare la speranza per la vita eterna. Non può farsi protagonista di alcuna ideologia, che sia quella gender o il neopaganesimo ambientalista. E’ pericoloso se ciò accade. Torno sull’Instrumentum laboris preparato per il Sinodo sull’Amazzonia. In un suo paragrafo si parla della ‘madre Terra’: ma questa è un’espressione pagana. La terra viene da Dio e la nostra madre nella fede è la chiesa. Noi siamo giustificati per la fede, la speranza e l’amore, non per l’attivismo ambientale. Certo, la custodia del Creato è importante, dopotutto noi viviamo in un giardino voluto da Dio. Ma non è questo il punto dirimente. Lo è il fatto che per noi Dio è più importante. San Tommaso dice che è l’uomo al centro della creazione. Gesù ha dato la sua vita per la salvezza degli uomini, non del pianeta”. Anche per questo si resta disorientati quando si legge sull’Osservatore Romano il necrologio per il ghiacciaio islandese Okjökull, morto “per colpa nostra”. “Gesù si è fatto uomo”, chiosa tranchant Müller, non cristallo di ghiaccio. Ma se tutto è così evidente e lineare, perché la chiesa insiste su questi temi, con un impegno serio e una campagna di sensibilizzazione assai penetrante nella società? “Perché si è persa la fiducia nella fede e nel Vangelo e ci si vuole giustificare davanti al mondo secolarizzato. Ma noi siamo chiamati a giustificarci davanti a Dio. Per risolvere i problemi politici della società ci sono i parlamenti, i rappresentanti eletti dal popolo, gli esperti nei diversi campi e nelle più diverse materie. Naturalmente, la chiesa può dare il proprio contributo con una buona etica, con la dottrina sociale, con il magistero, richiamando i princìpi antropologici. Dopotutto il Pontefice è il supremo interprete della legge morale. In questo senso anche la chiesa ha una grande responsabilità per assicurare la giustizia sociale nel mondo, per la sua promozione e sviluppo secondo i criteri della solidarietà. Ma la prima missione della chiesa è predicare Cristo figlio di Dio. Gesù non ha detto a Pietro di occuparsi del governo dell’Impero romano, non entra in dialogo con Cesare. Si è tenuto a buona distanza. Pietro non era amico di Erode o di Pilato, ma ha sofferto il martirio. E’ giusta la cooperazione con un un legittimo governo, ma senza mai dimenticare che la missione di Pietro e dei suoi successori consiste nell’unire tutti i credenti nella fede in Cristo, che non ha raccomandato di occuparsi delle acque del Giordano o della vegetazione della Galilea”, osserva il cardinale Müller. E il compito della chiesa “non è neppure quello di piantare alberi. Va bene come atto caritativo, ma non è con tale azione che ci si avvicina di più a Dio, purificando il cuore. Corriamo il rischio di strumentalizzare i sacramenti per promuovere un’ideologia”. E se fosse il Papa a raccomandare di piantare più alberi? “Il Papa ha la sua missione e c’è un magistero, ma non è che se dice che non gli piace il caffè dobbiamo bere tutti tè”.

 


Il doppio Sinodo parallelo, da una parte l’Amazzonia e dall’altra la Germania. Le conseguenze interesseranno “la Chiesa universale”. I viri probati, strada per rivedere il celibato sacerdotale. L’ordinazione delle donne. L’ideologia ambientalista che si è fatta largo tra le gerarchie


 

La chiesa è sotto attacco ed è anche a questo che si dovrebbe pensare. Consideriamo la figura del sacerdote: “Sono stato vescovo di una grande diocesi tedesca, Ratisbona, per dieci anni. Di preti ne ho conosciuti parecchi, ho parlato molto con loro. Faticano e tanti di loro non si sentono rispettati, nono solo all’interno della chiesa, ma soprattutto all’esterno, dove la propaganda è fortissima. Il dramma degli abusi sessuali è stato come un’onda impetuosa che ha lasciato macerie. Sono accusati di una colpa collettiva. Nessuno può dire che tutti i tedeschi hanno la colpa per le azioni di Adolf Hitler, ma se c’è un sacerdote che commette un crimine, la colpa ricade su tutti. E’ il concetto devastante di colpa collettiva. La stampa occidentale è anticattolica e cavalca questi fatti, magari non occupandosi poi molto di quanto accade altrove, in altri ambiti, visto che le statistiche ci dicono che tra coloro che sono responsabili di abusi i membri del clero rappresentano una minoranza molto piccola. Certo, come ha detto san Tommaso, i peccati del sacerdote, imago Christi, valgono il doppio. Ma ciò non toglie che il sacerdote sia, oggi, il bersaglio prediletto del mondo”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.