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Il Sinodo parte forte

Matteo Matzuzzi

Primo giorno dei lavori e già finiscono sul tavolo (tra gli applausi) i temi clou: viri probati e ordinazione delle donne

Roma. “Non temiamo il nuovo. Non temiamo Cristo, il nuovo. Questo Sinodo cerca nuovi cammini”. E’ questa la frase centrale della lunga relazione introduttiva del relatore generale dell’assemblea sinodale sull’Amazzonia, il cardinale Cláudio Hummes. “Spalancare le porte”, “abbattere le mura”, “costruire ponti”, “uscire e mettersi in cammino nella storia”. Rischiando, anche. Certo, nelle tre settimane di confronto fraterno si discuterà delle sofferenze delle popolazioni locali, dello sfruttamento, della mancanza di risorse materiali. Ma insomma, il punto-chiave è un altro, ed è stato lo stesso Hummes a chiarirlo, quando ha detto che “le comunità indigene hanno chiesto che, pur confermando il grande valore del carisma del celibato nella chiesa, di fronte all’impellente necessità della maggior parte delle comunità cattoliche in Amazzonia, si apra la strada all’ordinazione sacerdotale degli uomini sposati residenti nelle comunità”. Non solo, ma “di fronte al gran numero di donne che oggi dirigono le comunità in Amazzonia, si riconosca questo servizio e si cerchi di consolidarlo con un ministero adatto alle donne dirigenti di comunità”. E’ il terzo “nucleo generativo” illustrato dal relatore generale che verosimilmente terrà più impegnati i padri riuniti nei circoli minori: “La ministerialità nella chiesa in Amazzonia: presbiterato, diaconato, ministeri, il ruolo della donna”. E’ qui che l’unità sarà messa a dura prova, non tanto dalle votazioni assembleari – la grande maggioranza dei delegati è favorevole a intraprendere “i nuovi cammini”, basti considerare gli applausi che hanno sottolineato i passaggi più delicati della relazione di Hummes – quanto all’esterno dell’Aula. Si vedrà se sarà possibile un compromesso o quantomeno smorzare le istanze più di rottura, un po’ come accaduto al Sinodo sulla famiglia, quando all’opzione più radicale sulla riammissione dei divorziati risposati alla comunione fu contrapposta una soluzione più moderata – benché “aperturista” – tratteggiata dal cardinale Christoph Schönborn. Che però la linea sia ben tracciata l’ha dimostrato anche l’intervento di suor Teresa Cediel, missionaria colombiana intervenuta al briefing con la stampa: in Amazzonia, ha detto, “amministriamo i battesimi, quando il sacerdote non può essere presente a causa delle enormi distanze, e anche i matrimoni: se qualcuno si vuole sposare, c’è la possibilità che noi lo facciamo. Se una persona viene in chiesa e chiede di confessarsi, noi l’ascoltiamo, anche se non possiamo dare l’assoluzione. Siamo vicine anche a quelle persone che si trovano a contatto con la morte”. Ad aprire i lavori è stato il Papa, il quale ha ribadito che “ci viene richiesta una contemplazione dei popoli, una capacità di ammirazione, che facciano pensare in modo paradigmatico”. E’ fondamentale, ha aggiunto Francesco, ricordare che “il centralismo omogeneizzante e omogeneizzatore non ha lasciato emergere l’autenticità della cultura dei popoli”. Ha avuto parole di rimprovero, il Pontefice, per chi ha ironizzato sul look di alcuni indigeni: “Ditemi, che differenza c’è tra il portare piume in testa e il tricorno che usano alcuni officiali dei nostri dicasteri?”. Francesco ha parlato di quattro dimensioni caratterizzanti questo Sinodo: pastorale, culturale, sociale ed ecologica.

 

 

Il cardinale Hummes, nella sua relazione, ha concesso molto ai cultori del catastrofismo ambientale, quando ha sostenuto che “il Sinodo si svolge in un contesto di grave e urgente crisi climatica ed ecologica che coinvolge tutto il nostro pianeta. Il riscaldamento globale del pianeta per l’effetto serra ha generato uno squilibrio climatico senza precedenti, grave e impellente, come mostrato dalla Laudato Si’ e dalla Cop21 di Parigi, dove è stato sottoscritto, praticamente da tutti i paesi del mondo, l’Accordo climatico in verità fino a oggi quasi inattuato, malgrado l’urgenza”. Al tempo stesso, ha aggiunto il porporato brasiliano, “sul pianeta avviene una devastazione, una depredazione e un degrado galoppante delle risorse della Terra, tutto promosso da un paradigma tecnocratico globalizzato, predatorio e devastante, denunciato dalla Laudato Si’. La Terra non ce la fa più”. Il segretario generale, cardinale Lorenzo Baldisseri, aveva già in precedenza rimarcato il valore ecologico dell’assemblea, spiegando che “si vorrebbe che questo sia un Sinodo a impatto zero. Sulla base dei calcoli effettuati – ha aggiunto – s’intende compensare le emissioni di 572.809 kg di CO2 (438.373 kg per i viaggi aerei e 134.435 kg le altre attività) generate dai consumi di energia, di acqua, dall’allestimento, dalla mobilità dei partecipanti, dalla produzione di rifiuti e di materiali promozionali, con l’acquisto di titoli di forestazione per il rimboschimento di un’area di 50 ettari di foresta del bacino Amazzonico”.

 

Presentendo che il copione potrebbe ricordare molto quello del doppio Sinodo sulla famiglia, tra dispute alte e meno alte finite sui giornali, Francesco ha ammonito: “Un processo come quello di un Sinodo si può rovinare un po’ se io, quando esco dalla sala, dico quello che penso, dico la mia. E allora ci sarà quella caratteristica che si è presentata in alcuni Sinodi: del ‘Sinodo di dentro’ e del ‘Sinodo di fuori’. Il Sinodo di dentro che segue un cammino di Madre chiesa, di attenzione ai processi, e il Sinodo di fuori che, per una informazione data con leggerezza, data con imprudenza, porta chi ha il dovere di informare a equivoci”. Ed era solo il primo giorno.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.