Matteo Salvini con in mano un rosario (foto Imagoeconomica)

La Lega è diventata cattolica, ma in Parlamento nasconde il rosario

Matteo Matzuzzi

Un anno di promesse in favore della famiglia per conquistare il voto dei credenti. Ma la realtà è ben diversa

Roma. Asili gratuiti, innalzamento delle indennità di maternità, agevolazioni per il rimborso delle baby sitter, Iva a zero per i prodotti neonatali e per l’infanzia, misure di conciliazione tra lavoro e vita famigliare, rilancio dei consultori, riapertura dei punti nascita chiusi, sgravi contributivi per le imprese che mantengono le madri al lavoro. La cornucopia leghista trabocca di promesse che puntano alla tutela della famiglia come roccia sulla quale si regge la società nel caotico occidente secolarizzato e sempre più infedele. Appena uscito dal Quirinale dopo aver prestato giuramento, lo scorso giugno, il ministro Lorenzo Fontana annunciava misure epocali per contrastare l’inverno demografico e indicava le linee-guida etiche e non solo meramente politiche che avrebbero orientato il suo lavoro e quello del governo (e pazienza se l’alleato grillino ha sulla sostanza, quando le ha, idee opposte). 

 

Le dichiarazioni sul caso di Alfie Evans – “una deriva nichilista” – e sull’aborto – “è l’uccisione di un innocente” – lo hanno portato a essere subito catalogato dai circoli benpensanti del politicamente corretto alla stregua d’un retrogrado crociato nostalgico di Lepanto e di certo non ha migliorato la sua immagine – sempre presso quei salotti dove chi la pensa come Monica Cirinnà è una persona per bene (nell’accezione usata da Solovev) e chi dissente è nel migliore dei casi un fascista – il suo convinto e legittimo sostegno al Congresso mondiale delle famiglie che avrà luogo nel fine settimana a Verona. Fontana, insomma, crede in quello che dice e fa. Promette molto, ricorda un giorno sì e l’altro pure che la crisi demografica ci porterà in un futuro non così lontano all’estinzione – per questo avversa l’accoglienza, ridotta a “sostituzione etnica” – soffia sulle braci quasi spente dei valori cristiani per tentare di ravvivare il fuoco e si lamenta perché per il suo ambizioso piano mancano i soldi – “Se non servo posso lasciare”, diceva minaccioso lo scorso agosto alla Stampa.

 

Un programma che ha fatto breccia, un anno fa, in tanti cattolici rimasti senza più una casa politica, depressi dal lento crepuscolo di Forza Italia e disorientati dalle faide correntizie nel Pd. Milioni di cattolici il 4 marzo del 2018, usciti dalla messa, correvano al seggio per barrare il simbolo salviniano sulla scheda elettorale, soprattutto quelli per cui la difesa dei princìpi non negoziabili di venerata memoria resta qualcosa di valido ancora oggi. E i sondaggi demoscopici lo confermano un anno dopo, con la Lega sempre più “partito dei cattolici” e Matteo Salvini trasfigurato in un De Gasperi alternante felpa e giacca della polizia. Segni dei tempi. Più che il rosario agitato in piazza Duomo a Milano e il giuramento sacro sul Vangelo – i riti pagani sono archiviati, il Monviso e il dio Po sono miti di un paio di ere politiche fa – sono i nobili intenti di Fontana ad aver attratto il conservatorismo cattolico che più che alle prolusioni del cardinale Gualtiero Bassetti e alle omelie dei vescovi con l’odore delle pecore preferiscono la retorica della piazza pulita cara a Salvini.

 

La Lega, insomma, come bastione ultimo della civiltà cristiana, argine che protegge la parrocchia dal laicismo esasperato e tracotante dei vessilliferi dei diritti tout court. Intenti più o meno nobili, dunque. Ma poi nel concreto? Cosa fa il governo del ministro Fontana per irrobustire quell’argine? Lui una risposta l’ha data, lo scorso novembre in Senato, rispondendo a un’interrogazione parlamentare. Più soldi per la famiglia (300 milioni per il triennio 2019-2021 e altri cento per ogni anno successivo), 120 milioni annui per le politiche sociali, 100 milioni sul fondo per le non autosufficienze, 960 milioni per gli asili – “stiamo lavorando per rendere la misura realmente efficace e fruibile” – e poi maggiore flessibilità nella fruizione del congedo di maternità, innalzamento fino a sedici anni dell’età del figlio entro la quale al genitore è consentito di accedere al congedo, flessibilità in contrazione e su base volontaria, misure di conciliazione vita-lavoro, misure relative alle assistenti materne anche a favore della promozione del lavoro agile. E poi l’Iva a zero “o comunque agevolata per chi deve usufruire di prodotti per la prima infanzia”. Applausi scroscianti anche dai cattolici tiepidi che avevano guardato con sospetto lo sventolio di rosari da parte del già laicissimo Salvini – che di princìpi non negoziabili non si è mai interessato, sarà per la sua giovinezza di comunista padano e che infatti martedì ha stoppato la proposta contro l’aborto di un suo deputato dicendo che sì, siamo cattolici “ma aborto, divorzio, parità di diritti tra donne e uomini, libertà di scelta per tutti non sono in discussione”.

 

Acclamazioni ancora più sonore e convinte dalla galassia di movimenti nati attorno al Family Day che alla Lega hanno dato carta bianca, sposandone linee, proclami e battaglie. Devono però essersi dimenticati di guardare bene cosa la Lega fa in Parlamento, lontano dalle bacheche facebook dove si inneggia alla croce come segno distintivo e paletto di confine che separa noi dagli altri, e si denunciano i propugnatori di derive eutanasiche e abortiste. In Parlamento, lì dove si decide veramente, la Lega sembra un partito nordeuropeo. Conservatore sì, ma con tutti i distinguo del caso. Sull’eutanasia, nessuna opinione: va bene tutto, anche ciò che propongono i laicissimi grillini. Roberto Turri, padano della commissione Giustizia alla Camera, il 30 gennaio scorso faceva sapere che sul tema – la Consulta chiede che una legge venga fatta prima di settembre, altrimenti ci penserà da sola – bisogna “procedere con cautela, andando oltre le posizioni politiche di ognuno e la personale sensibilità di ciascuno”. Per chiarire meglio il concetto, “da parte della Lega non c’è alcun preconcetto ideologico, nessuna posizione contraria a prescindere. Ciò non vuol dire che siamo a favore, ma cercheremo di trovare una soluzione il più condivisa possibile”. Una bella differenza rispetto alle tavole della legge del ministro Fontana. Che evidentemente deve essersi distratto durante il Consiglio dei ministri dello scorso 28 febbraio, quando – come scriveva sul Foglio la scorsa settimana Alfredo Mantovano – è stato approvato un disegno di legge recante la delega “per la revisione del codice civile”. Tra le voci di revisione, una riguarda l’inserimento nel codice civile degli accordi prematrimoniali che altro non fanno se non ridurre il matrimonio a un contratto come tanti altri. “Come per la somministrazione di un servizio, questo contratto disciplina le modalità di conclusione prima ancora di iniziare, in un’ottica mercantilistica consacrata in clausole negoziali”, ricordava sempre Mantovano. Questo il ministro della Famiglia si era dimenticato di annunciarlo, lo scorso novembre in Senato. Forse per non disorientare il popolo fedele appena conquistato.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.