Foto Imagoeconomica

Il brusco risveglio dei cattolici che si sono fidati del Rosario di Salvini

Matteo Matzuzzi

Il silenzio dei movimenti pro life mentre la Lega tradisce il voto cattolico. Sul fine vita va bene tutto, anche la linea Cappato

Roma. I tanti cattolici che lo scorso marzo, nel segreto dell’urna, hanno barrato il simbolo della Lega vedendo in Matteo Salvini se non il nuovo De Gasperi quantomeno l’argine fisico alle “derive pericolose” (così Benedetto XVI) in materia bioetica, dovrebbero ricredersi. Basterebbe leggere la relazione che mercoledì 30 gennaio il leghista Roberto Turri, membro della commissione Giustizia alla Camera, ha fatto in merito alla proposta di legge d’iniziativa popolare sul “rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia”. Si parte da lì e poi si vedrà, con il rischio – da molti temuto, da altri auspicato – che alla fine sia la Corte costituzionale a decidere sul fine vita. D’altronde la promessa (o la minaccia, dipende da come si vede la faccenda) la Consulta l’ha già fatta: considerato il caso Cappato-Dj Fabo, il Parlamento ha tempo fino a settembre per deliberare in materia. Altrimenti ci penseranno i giudici. La Lega sta sulle sue: niente spada di Giussano in mano pronta alla battaglia, un po’ perché il condottiero Alberto non va più di moda in èra salviniana, un po’ perché su questioni sensibili com’è il fine vita, il partito di Salvini allo scontro non ci vuole andare. Toni diplomatici, confermati dalla teoria di interviste e commenti che lo stesso Turri ha diffuso negli ultimi giorni, spiegando che bisogna “procedere con cautela, andando oltre le posizioni politiche di ognuno e la personale sensibilità di ciascuno” e aggiungendo che “da parte della Lega non c’è nessun preconcetto ideologico, nessuna posizione contraria a prescindere. Ciò non vuol dire che siamo a favore, ma cercheremo di trovare una soluzione il più condivisa possibile”. Gli alleati grillini, però, sul tema hanno già chiarito in passato – e lo hanno chiarito bene – come la pensino, basti ricordare l’asse con il Pd sul testamento biologico.

 

Non a caso l’altro relatore, Giorgio Trizzino (M5s), invoca un approccio “senza preclusioni”. Come a dire che nulla è escluso, anche perché si parte dal testo d’iniziativa popolare – appoggiato dai Cinque stelle – sul quale Salvini non ha intenzione di alzare le barricate. Di certo non possono bastare i post su Facebook del vivace Simone Pillon, che tuona contro chi osi anche solo dubitare della resistenza leghista: “Altro che eutanasia! Occupiamoci piuttosto di costruire un servizio sanitario efficiente, capace di guarire i malati e di prendersi cura degli infermi offrendo loro trattamenti terapeutici e assistenziali completi oltre ad affetto, sostegno e condivisione fino alla fine”, scrive. Ricordando poi che “la legge sul fine vita non è nel contratto di governo e neppure nel programma della Lega” e che “sarebbe paradossale che l’Italia si muovesse ora verso posizioni che vengono messe in discussione proprio da chi le ha già provate sulla propria pelle”. Qual è quindi la posizione del partito salviniano sul tema?

 

Quello pragmatico di Turri, del tutto legittimo ma poco in sintonia con i settori che sui cosiddetti princìpi non negoziabili hanno ingaggiato battaglie anche veementi, o quello di Pillon? Se n’è accorto perfino Marco Cappato, come si legge sull’Espresso: “Per ora ho visto grandi proclami, e qualche stupidaggine. Ma non iniziative parlamentari serie contro il testamento biologico, il divorzio, l’aborto. Cioè: a parole sì. Non nei fatti. Oggi Pillon può dire tutte le sciocchezze che vuole, ma la conseguenza pratica è meno di zero”. Ecco perché “non dobbiamo fare la guerra per trafiggere i fantasmi. E non ha senso fare di Pillon il grande leader della restaurazione contro i diritti civili, visto che oggi non lo è”. La Lega non ha mai chiarito come la pensi, al di là di qualche slogan recitato tra i gazebo e vaghe promesse da campagna elettorale, tra i giuramenti sul Vangelo e accenni alla vecchia e cara Padania bianca e cristiana (“Noi siamo quelli di Lepanto!”, urlava anni fa Mario Borghezio). Un canto delle sirene che ha irretito parecchi cattolici, disorientati dalla caduta di quelli che per decenni sono stati, pur con tutti i dubbi, i propri riferimenti politici. Liquefatto il centrodestra di stampo berlusconiano, invisibile il centro, restava la Lega dei rosari agitati nelle piazze. E tanti, uscendo dalla messa il 4 marzo 2018 sono andati a infilare nello scatolone elettorale una scheda con il voto per Salvini. Pensando che biotestamento e unioni civili sarebbero rimasti tristi ricordi del passato e che l’onda che punta all’eutanasia libera si sarebbe infranta sul muro invalicabile dei valori cari ai leghisti. Invece, meno di un anno dopo, si scopre che l’argine è piuttosto basso e che “non c’è nessun preconcetto ideologico, nessuna posizione contraria a prescindere”. Basso anche perché la galassia movimentista che all’epoca della legge Cirinnà sulle unioni civili organizzava sit-in, marce e raduni, attaccava i vertici della Conferenza episcopale italiana per i suoi silenzi e faceva sapere al Pd che i cattolici se ne sarebbero ricordati alle elezioni, ora tace. Qualche comunicato, un appello, pubblici auspici. Nulla di più. Forse anche perché tanti suoi esponenti di primo piano hanno trovato ospitalità nei gazebo leghisti? Si tratta di una pax bioetica che per qualche motivo tutela anche la Lega, implicitamente benedetta un anno fa? Sembra domandarselo Assuntina Morresi, da tredici anni membro del Comitato nazionale per la bioetica, che in una lunga intervista pubblicata sul sito di Tempi ha osservato che davanti allo stato delle cose, più che di pax bioetica bisognerebbe parlare di “indifferenza bioetica”. Dire anche che il fine vita non rientra nel programma di governo è una cosa senza senso, spiega: “E’ come dire ‘facciamo una moratoria sulla pioggia’, puoi non occupartene ma piove lo stesso, gli eventi accadono, accadono i Dj Fabo, accadono cose fuori dall’agenda di governo sulle quali è letteralmente impossibile, per chi governa un paese, non avere una precisa opinione a riguardo”. Il silenzio, continua Morresi, “non è neutro. E’ politica. Quale differenza c’è tra quelli che erano definiti ‘cattocomunisti’ dentro il Pd e i ‘cattoleghisti’ di oggi, se il problema è la tenuta del governo? Non c’è nessuna differenza”.

Di più su questi argomenti:
  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.