Roberto Fico (foto LaPresse)

La pericolosa scorciatoia di Fico verso l'eutanasia

La prospettiva è che approfittando di una mancata sentenza della Consulta, in una situazione politica confusa, si arrivi ad approvare in tutta fretta una legge che legalizzi l'aiuto al suicidio 

Invece di deliberare sulla eccezione di costituzionalità promossa nel corso del processo a Marco Cappato per il “caso dj Fabo”, la Corte costituzionale ha chiesto al Parlamento di correggere le incongruenze rilevate nell’articolo 580 del Codice penale che punisce l’aiuto al suicidio. Per la verità, pur comportandosi in questo modo anomalo, la Consulta nega che vi sia nella Costituzione italiana o nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo il diritto a “ottenere dallo stato o da terzi un aiuto a morire”. Dunque la Consulta non chiede affatto la legalizzazione dell’eutanasia, ma una rimodulazione delle pene per casi specifici in cui l’aiuto al suicidio potrebbe essere depenalizzato.

 

   

Il fronte pro eutanasia, però, non tiene affatto conto di questa indicazione, si aggrappa alla richiesta di un intervento legislativo in materia entro il 24 settembre 2019, avanzata dalla Corte costituzionale onde evitare un suo nuovo pronunciamento, e si aggrappa alle posizioni (anche personali, ma istituzionalmente un po’ avventuristiche) del presidente della Camera, Roberto Fico. Il quale, mentre i due vicepremier tentano di tenersi alla larga dalla questione con la solita scusa patetica, “non fa parte del contratto”, forza la mano. Il timing imposto dalla Corte costituzionale sarebbe “una grande opportunità, un’occasione preziosa di affrontare nuovamente il tema dell’eutanasia”, ha detto nel discorso introduttivo a un convegno organizzato dalla onlus che aveva promosso la campagna sul caso Englaro.

  

La prospettiva concreta è che approfittando di una mancata sentenza della Consulta, in una situazione politica confusa, si arrivi ad approvare in tutta fretta e quasi di soppiatto una legge che legalizzi completamente l’eutanasia, in tutti i casi di sofferenza anche psicologica di un paziente, senza dare nessun peso al parere dei sanitari, che sarebbero obbligati a uccidere su semplice richiesta. Mentre persino la Consulta ha circoscritto la sua richiesta di rivedere l’articolo 580 laddove il suicidio (aiutato) sia “l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare”. Dunque si parla di mantenimento artificiale in vita, non di diritto all’eutanasia in qualsiasi condizione.

 

L’attivismo del fronte pro eutanasia è ben noto, così pure come la strategia politica di utilizzare l’emozione creata da casi estremi ed eccezionali supportare il proprio progetto, e ancor più la tattica di passare dai tribunali per far arrivare al Parlamento proposte che altrimenti richiederebbero un maggiore dibattito preparatorio nell’opinione pubblica. Ma è impressionante anche il fatto che, di fronte a una forzatura che vuole abbattere il principio fondamentale dell’intangibilità della persona, si contrappone solo l’appello della Chiesa, nel sostanziale disinteresse dei laici.

 

Così si arriva a sostenere che il suicidio è un diritto civile e che promuoverlo e facilitarlo è un diritto dei cittadini e addirittura un dovere dello stato. Senza una battaglia civile e culturale la discussione parlamentare si svolgerà in un clima di disinteresse che favorisce i piani di chi punta a forzature inaccettabili in base a una campagna di opinione unidirezionale.

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