Il premier Giuseppe Conte e il ministro Dario Franceschini a Montecitorio, nel dicembre 2019 (foto LaPresse)

Franceschini e Conte: entrambi delusi, entrambi contenti

Valerio Valentini

Un Cdm nervoso. Lo scambio di veleni tra il premier e il ministro della Cultura. La mediazione di Gualtieri al telefono con Aspi. Una soluzione che non soddisfa nessuno, ma che tutti rivendicano. Per Renzi è un "bah"

Luigi Di Maio a parte, alla fine tutti i ministri del M5s se ne sono rimasti lì, nel riflesso ambrato dell'alba che colorava il cortile di Palazzo Chigi, a fare i complimenti a Giuseppe Conte. "Hai visto come ha annichilito Dario?", si dicevano tra loro. Dario, che nella fattispecie è Franceschini. E che ancora alle due di notte, quando il Cdm era iniziato da quasi quattro ore, confidava nella possibilità di far desistere il premier dai suoi intenti sconclusionatamente bellicosi, di ricondurlo a più miti convincimenti. "Io avventato? Caro Dario, vai di là, due minuti, così ascolti dal vivavoce che razza di arroganti sono questi. E magari capirai che la revoca è ciò che meritano". Nella stanza accanto, infatti, per ore i ministri Roberto Gualtieri e Paola De Micheli, insieme ai loro tecnici, si sono alternati per parlare a telefono coi vertici di Autostrade: tutto un trattare, negoziare, vagliare possibili opzioni che puntualmente venivano rimbalzate dall'intransigenza grillina, che il titolare dell'Economia ha saputo addomesticare solo sul concludersi della riunione. 

 

E così, una soluzione che non doveva scontentare nessuno finisce per non accontentare nessuno davvero. Ma siccome la politica italiana è quel che è, tutti potranno rivendicarlo, questo pastrocchio. Il M5s fa buon viso a cattivo gioco: la revoca invocata, promessa ai famigliari delle vittime del ponte di Genova e all'elettorato infervorato dalla caccia alle streghe, non c'è. "Ma lo scalpo dei Benetton, quello ce l'abbiamo", se la ridono. E, dopo essersi consultati con Gualtieri, indicano anche la cronotabella della loro crociata: "Entro settembre i Benetton perdono il controllo di Aspi. Entro gennaio sono fuori del tutto". Sei mesi, dunque. Forse di più. E ce n'è abbastanza, allora, per consentire al Pd di lasciar pensare che ancora tutto potrà essere acconciato per il meglio, evitando delle fughe in avanti di stampo peronista che darebbero alla vicenda un retrogusto quasi venezuelano, da stato illiberale. Però, comunque, tra sei mesi: si vedrà. Nel frattempo, non si capisce bene al Nazareno cosa vogliono fare: se intestarsi la soluzioni "meno peggio" delle altre trovata da Gualtieri, o prenderne le distanze. 

 

Pure i parlamentari di Italia viva abbozzano un mezzo inno di vittoria: "Niente revoca e ingresso di Cdp: alla fine hanno seguito l'indicazione di Matteo Renzi". Il quale, a patto che ci sia nulla da rivendicare in questa faccenda di situazionismo politico di cui pure Angela Merkel s'è fatta beffa, sa bene però che la soluzione da lui auspicata era un'altra: "Cdp doveva semmai entrare in Atlantia, e non in Aspi". Nella capogruppo, cioè, e non nella controllata. Così sembra una soluzione da conventicola romana, da retrobottega di lobbisti all'amatriciana. Ma vabbè: figurarsi se qualcuno avrà il tempo di accorgersene, nel clamore della folla che vuole vedere Luciano Benetton impiccato ancora più in alto, e del resto – lavoratori, investimenti stranieri, certezza del diritto – chi se ne frega. A quelli dei suoi che gli chiedono un commento sull'esito tecnico della trattativa, Renzi risponde: "Tecnicamente? Bah". E in questa inciampo della parola sta il senso del pasticcio. 

 

Nel mezzo, ovviamente, c'è Giuseppe Conte. Dirà di sé che mai nessun premier ha affrontato con tanta fermezza, mento in alto e petto in fuori, i poteri forti. Aveva promesso la revoca e la revoca non c'è. Aveva spergiurato che mai lo stato sarebbe stato consocio di chi ha fatto venire giù il ponte Morandi. E invece, almeno per un po' lo dovrà essere. Ma forse da questa vicenda ha capito una cosa, per paradossale che appaia: ogni volta che veste i panni del premier barricadero, paladino dei duropuristi e di Alessandro Di Battista, non c'è nessuno che osi contrastarlo. "Per non apparire amici dei poteri forti", come direbbe Goffredo Bettini. Ricatto morale a cui alla fine anche Franceschini, che pure s'era risentito per quelle parole di Bettini e per il cedimento verso il grillismo di Nicola Zingaretti che quelle parole sottintendevano, s'arrende. E così, all'alba, alza le mani e bacia la pantofola di Conte: "Un risultato insperato", esulta il ministro della Cultura. "E il merito va al lavoro dei ministri De Micheli e Gualtieri e della guida del presidente Conte, la cui fermezza nel tenere sempre aperta la prospettiva della revoca ha consentito di arrivare a questo risultato insperato". Amen.