La demolizione del Ponte Morandi a Genova (foto LaPresse)

Vorrei che la colpa fosse tutta dei Benetton

Camillo Langone

Purtroppo l'abbandono a cui sono lasciate le infrastrutture autostradali è responsabilità di mezza nazione

Vorrei che tutta la colpa fosse dei Benetton, solo dei Benetton, mentre lentamente percorro gli innumerevoli viadotti zoppicanti della A14. Penso davvero che qualche responsabilità quantomeno morale di tanta fatiscenza sia della nota famiglia di Treviso e in particolare di Luciano Benetton, l’uomo che (per dirne sensibilità e logica) allo scopo di allontanare lo spettro del Ponte Morandi il 1° dicembre 2019 scrisse una lettera ai giornali evocando la buona gestione benettoniana di Autogrill (a parte che proprio sull’Adriatica il cappuccino migliore ormai lo bevo da Sarni).

 

Ma purtroppo, mentre osservo terrorizzato il viadotto di Tortoreto sul quale tra pochi secondi poggerò le mie ruote, percepisco una responsabilità più vasta, una mancanza collettiva, un difetto generazional-nazionale. Gli italiani del Dopoguerra, soprattutto gli italiani degli anni 50 e 60 ma in parte anche quelli degli anni ’70 e ’80, si impegnavano molto sul lato inaugurazione. Tralasciando magari il lato manutenzione (non si può pensare a tutto). Mentre gli italiani successivi, gli italiani odierni, hanno dimenticato l’inaugurazione e non hanno mai praticato la manutenzione, puntando invece sul lato dissipazione (viaggi, vacanze, champagne, cani…). Vorrei che la colpa fosse tutta dei Benetton, solo dei Benetton, mentre affronto il viadotto del Cerrano raccomandandomi a Dio, però credo che per trasformare nella presente via crucis di cantieri, code, scricchiolii, polemiche, sequestri la meravigliosa autostrada completata nel 1975 ci sia voluto l’impegno (o il disimpegno) di mezza nazione.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).