La sede romana di Autostrade per l'Italia (foto LaPresse)

Una soluzione da stato illiberale

Carlo Stagnaro

Il governo non colpisce solo i Benetton, ma anche il 70 per cento degli altri azionisti. Altro che stato di diritto. Qui lo stato vuole solo mettere le mani sull'economia del paese: senza un progetto, senza un'idea

Per trovare un senso a questa storia bisogna partire dalle parole rilasciate da Giuseppe Conte al Fatto Quotidiano di lunedì: “Sarebbe davvero paradossale se lo Stato entrasse in società con i Benetton”. E’ assolutamente vero, ma nel senso opposto a quello inteso dal premier: per quale ragione al mondo lo Stato dovrebbe entrare nel capitale di Autostrade per l’Italia (Aspi)? E con quale diritto il presidente del consiglio giudica inopportuno che un tale possegga quote di una certa impresa, in assenza di qualunque incompatibilità di legge? Il gradimento degli azionisti non ha (o, almeno, non dovrebbe avere) alcuna rilevanza pubblica. Di più: la guerra diretta e personale del Governo, finalizzata a scacciare gli azionisti di riferimento, getta una luce sinistra del nostro paese.

 

All’indomani della tragedia del ponte Morandi, la posizione dell’esecutivo giallo-verde fu netta: Aspi è inadeguata a gestire l’infrastruttura autostradale. Ciò è stato più volte ribadito anche dopo la staffetta con la maggioranza giallo-rossa. La conseguenza logica è quella della revoca della concessione stessa (quanto meno per ciò che riguarda il tratto ligure). Naturalmente, la revoca espone al rischio di contenzioso che potrebbe portare lo Stato a soccombere ed erogare un risarcimento plurimiliardario. E’ il bello dello stato di diritto: c’è sempre un giudice a Berlino, che può e deve sindacare gli atti di chi detiene pro tempore posizioni di potere.

 

Palazzo Chigi si sta invece muovendo su un terreno completamente diverso: non contesta l’inadeguatezza di Aspi, ma quella dei suoi azionisti e, in particolare, della famiglia Benetton. Così, ha ignorato la lettera con cui l’azienda si rendeva disponibile ad accettare pressoché tutte le condizioni in materia di indennizzi, investimenti, tariffe e sicurezza, e ha scatenato una guerra senza quartiere. Questa guerra ha due dimensioni: una si gioca nel segreto delle trattative, l’altra sui media. Nelle chiuse stanze, il Governo sta negoziando la nazionalizzazione di Aspi, con l’ingresso della Cassa depositi e prestiti e di “investitori istituzionali di gradimento di Cdp” per diluire Atlantia nel capitale di Aspi. Vale la pena insistere: questa manovra colpisce non solo i Benetton, ma anche il 70 per cento degli altri azionisti. Anche ammettendo che il prezzo di cessione sia “congruo” (e quindi gli investitori possano ritenersi ristorati) è il metodo a gridare vendetta. Sui media, gli esponenti del Governo – con l’eccezione della titolare dei trasporti, Paola De Micheli, che pare l’unica consapevole dei rischi – continuano a cannoneggiare Aspi con l’effetto (se non addirittura con l’obiettivo) di deprimerne ulteriormente i corsi borsistici, salvo i rialzi quando l’accordo si avvicina.

 

Il Governo non sta perseguendo una legittima visione politica, non ha un progetto di riforma del sistema autostradale e non si muove all’interno della cornice giuridica dello Stato di diritto. L’unico fine delle sue azioni è mettere le mani dello stato – e di altri soggetti privati a esso graditi – su un pezzo dell’economia di questo paese. Sostituendo l’arbitrio dei singoli alle procedure e ai contrappesi della rule of law, l’Italia si avvicina alle nazioni prive di istituzioni democratiche. 

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