(foto LaPresse)

Nel Pd alcuni sbuffano

Valerio Valentini

Scintille e messaggi di fumo in Senato. FI dialoga con i dem (contro Conte) ma Salvini è alla finestra

Roma. Adesso ovviamente se la godono, l’attenzione di cui sono investiti. “Ma davvero Gianni Letta vuole farvi entrare in un Conte ter per sostituirci?”, si sentivano chiedere mercoledì i senatori azzurri dai loro colleghi di Italia viva, preoccupati. Al che Renzi, per fugare ogni dubbio, comunque c’ha tenuto a chiarirlo che col cavolo che si farà di parte. E allora Luigi Marattin, due giorni fa alla Camera, ha chiuso il suo intervento dicendo che “nei prossimi mesi ci sarà una corsa a uscire dal governo, e non a entrare, viste le responsabilità che ci attendono. Ma noi quella responsabilità ce la prendiamo tutta”. E dai banchi di Forza Italia hanno capito che un passaggio di testimone indolore con Iv non era più praticabile.

 

Non solo perché l’abbia deciso Renzi, certo. Anzi, il suo “ultimo appello” lanciato a Conte nell’Aula del Senato, l’indice alzato e gli occhi negli occhi del premier, è stato tanto netto quanto vago. “E per questo è stato perfetto”, sentenzia Pier Ferdinando Casini: “Non può abbattere Conte, e allora deve logorarlo”. La verità è che anche il Pd s’è stufato. Se durante un’ora di intervento a Palazzo Madama, i dem non hanno mai applaudito Conte se non alla fine del discorso, e pure lì assai freddamente, è il segnale che qualcosa s’è rotto. “La politica è altrove, e io vi aspetto lì”, conclude Renzi prima di prenderseli, lui sì, gli applausi degli ex amici del Pd. “Ma è proprio la politica quella che Conte non capisce, solo che noi non sappiamo come liberarcene”, sbuffa allora un ex ministro dem, mentre in Aula, a nome del gruppo, interviene Dario Stefano con toni da quasi-opposizione, ricordando al premier che “non c’è maggior imprudenza che una prudenza distruttrice”.

 

E insomma la rottura appare nella logica delle cose, se addirittura la maggioranza, nel voto sullo scostamento di bilancio, deve affidarsi a Richetti e Bonino (che in maggioranza non ci stanno) per arrivare a quota 161. Allora Renzi prova a forzare i tempi, forse troppo, forse solo per finta, e poi però si ferma e morde il freno, come il cavallo di rincorsa al palio di Siena deve rimandare l’allungo decisivo attendendo che gli altri rivali si sistemino ai canapi. E, per strano che appaia, il fantino più ricercato, ora, è proprio Forza Italia. Che appunto si compiace, di tante lusinghe: e allora la renziana Gadda che accoglie tutti gli emendamenti azzurri sul Def in commissione Agricoltura, al punto da obbligare FI a non votare contro (“Non abbiamo potuto opporci ...”), e allora gli inviti dal Pd a condividere le correzioni al “decreto aprile”, a maggio. Enrico Borghi, tessitore di scuola democristiana, la convergenza con FI la delinea chiaramente: “Noi del Pd intendiamo lavorare sul piano parlamentare per aprire un tavolo di condivisione con le forze europeiste, anche al di là dell’attuale maggioranza. E intendiamo farlo a partire dai provvedimenti economici che verranno, a partire dall’anticipo della legge di Bilancio proposta da Brunetta, così da stabilire, proprio sulla programmazione della ripartenza, una relazione politica sui fondamentali dell’economia e del collocamento internazionale”. Musica, per le orecchie dell’economista azzurro. “Di qui a due mesi, con l’arrivo della nuova fase, ci sarà lo spazio – dice Brunetta – per creare una nuova maggioranza e un nuovo governo”.

 

Ma di che maggioranza si tratterà, di che governo, dipenderà anche dalle scelte del Cav. Perché, se è vero che ora FI è tornata centrale, è vero anche che bisogna decidere sul da farsi. E la domanda è questa: è più facile che il Pd digerisca un governissimo con Salvini, che ieri non a caso ha ammiccato a Renzi evocando una convergenza “tra il centrodestra e i democratici di questo paese”, o è più facile che FI si stacchi dal centrodestra per sostenere un governo “Ursula”? Giorgio Mulè pare risoluto: “Ma come si fa coi grillini? Quelli stanno ancora nella caverna. Ma non quella delle idee di Platone, ma quella di Polifemo, dove vige l’ideologismo e l’odio sociale”. Andrea Cangini dice che “è difficile che FI lasci il centrodestra, a meno che non degeneri la crisi sociale del paese”. Quanto a Brunetta, per lui “il centrodestra è una categoria astratta, anche perché non è occupando le piazze di giorno e le Camere di notte che si risolvono i problemi del paese”, dice pensando a FdI e Lega. “Semmai, si dovrà fondare la ripartenza su una politica economica coraggiosa e realista e sull’utilizzo intelligente dei fondi europei. Il M5s? Si può provare a staccare – conclude – quella parte di grillini dotati di buon senso proprio coinvolgendoli su una piattaforma europeista”. E dunque? “E dunque niente, a risolvere i dubbi di tutti sarà l’evoluzione della crisi. La politica seguirà”, sussurra Casini.