(foto LaPresse)

Commedie rossogialle

Paolo Cirino Pomicino

Le plateali contraddizioni nella riforma della prescrizione e nel piano per il Mezzogiorno

È in pieno svolgimento la nuova commedia dell’arte italiana in cui, come è noto, non c’è un copione scritto e gli attori recitano a soggetto, come si suol dire in gergo teatrale. Non essendoci un copione, niente è prevedibile e spesso neanche comprensibile. L’episodio che è andato in scena nelle ultime settimane ha avuto al centro la prescrizione. I protagonisti sono stati Renzi e Conte, mentre la parte comica la recitava Bonafede (nomen omen). Mentre tutto sembrava crollare a cominciare da questo strambo governo ecco, improvviso, il colpo di scena. Il Consiglio dei ministri nella sua ultima riunione ha approvato un pasticciato lodo Conte sulla prescrizione in cui si differenziano gli assolti in primo grado da quelli condannati ai fini della interruzione dei tempi di prescrizione (ma la Costituzione non dice che tutti sono innocenti sino a sentenza passata in giudicato dopo tre gradi di giudizio?), ma anche un disegno di legge per la riforma del processo penale. In quest’ultimo, secondo i resoconti giornalistici e le dichiarazioni, i processi (tranne quelli per mafia e terrorismo) devono durare cinque anni che, con le proroghe previste per i termini delle indagini, potranno arrivare sino a sei anni. E voilà il nodo del contrasto è risolto e tutti dovrebbero scoppiare in una grande risata liberatoria. Se dopo sei anni lo stato cessa la sua azione penale contro qualunque cittadino, tranne che per i mafiosi e i terroristi, la prescrizione sta dentro la stessa riforma approvata perché non c’è alcuna prescrizione che intervenga prima dei sei anni.

 

Ma le maschere della nuova commedia dell’arte sono più maliziose dei Pulcinella e degli Arlecchino della vecchia commedia cinquecentesca e quindi molti non credono a quel che sembra sia scritto nel nuovo disegno di legge. Questa intollerabile incredulità di Renzi e dei suoi amici nei riguardi un governo che non ha precedenti nella storia repubblicana può però subito essere smentita. Sarà sufficiente scrivere nella legge di riforma che quel limite dei 5/6 anni per la fine dei processi non diventi, come si dice nella colta lingua giuridica, un termine ordinatorio ma perentorio per cui allo scoccare del termine, se il processo non si è concluso, decade qualunque azione dello stato nei riguardi del cittadino. Abbiamo però l’impressione che questa norma perentoria non ci sarà e mai verrà approvata da quella variopinta pattuglia dei 5 stelle che stranamente più si dissolvono e più sono ascoltati dai vertici del Partito democratico. Se così sarà, la commedia continuerà perdendo anche la qualifica “dell’arte”. Fine del primo episodio di questa lunga pièce teatrale.

 

Il secondo episodio profondamente diverso dal primo, ma sempre incastonato in quel filone teatrale, è stato la presentazione a Gioia Tauro da parte del presidente del Consiglio e del ministro per il Sud e la coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, del nuovo piano per il Mezzogiorno (ogni rappresentazione teatrale ha una propria simbologia e noi avremmo preferito il comune di Tricarico, dove fu sindaco Rocco Scotellaro o Caltagirone di Luigi Sturzo). Diciamo subito che noi stimiamo questo giovane ministro per la sua visibile passione e le sue precedenti esperienze, ma l’Idrovora teatralità rischia di risucchiare anche lui nella commediante rappresentazione dei fatti. Confessiamo di non avere letto il piano nel suo complesso, ma da tutti i resoconti giornalistici abbiamo appreso che il governo punta “al rispetto del 34 per cento della spesa in conto capitale della pubblica amministrazione nel Mezzogiorno d’Italia, che si accelera l’utilizzo delle risorse del fondo europeo per la coesione sociale, per la programmazione dei nuovi fondi europei, per tutta la filiera dell’istruzione per bloccare l’esodo giovanile del sud, per gli investimenti materiali e immateriali, in tutte le regioni meridionali, e in particolare quegli ambientali e infine uno sforzo per favorire l’innovazione tecnologica nel comparto industriale di tutto il sud”.

 

C’è qualcuno che è contrario a questi obiettivi? Crediamo che tutti concordino. C’è qualche governo precedente che abbia già accennato a questi obiettivi? Tutti, anche se qualche sfumatura in più sembra esserci. Quel che invece nessuno ricorda e che la politica non si differenzia negli obiettivi ma negli strumenti per raggiungerli, a cominciare dal rispetto dei tempi per l’utilizzo delle risorse stanziate dall’Europa e dal governo nazionale. Ecco, noi avremmo preferito che venissero illustrati questi strumenti e non gli obiettivi che conosciamo da tempo. Naturalmente speriamo che le cronache giornalistiche siano state imprecise nel riferire l’evento e aspettiamo di leggere il piano.

 

Ultima chicca di questa nuova commedia dell’arte. Nel tentativo di fomentare odio contro tutti i concessionari di ogni tipo, il governo ha cominciato con quelli autostradali, molti dei quali pubblici, aumentando l’Ires (la tassa sugli utili aziendali) di ben tre punti, facendola passare dal 24 per cento al 27 per cento, un punto in più dell’imposizione fiscale sulle plusvalenze finanziarie. Si può anche scioccamente punire tutti o parte dei concessionari scelti a suo tempo con gare pubbliche e che danno soldi allo stato e anticipano risorse che lo stato non ha per investimenti e manutenzioni. Ma non sarebbe il caso di aprire un tavolo per rivedere le concessioni in atto anche per evitare procedure d’infrazione europee e problemi di costituzionalità?

 

È tempo forse che i presidenti delle Camere assumano maestri per insegnare l’arte del legiferare, i suoi limiti e le sue modalità – con annessa qualche lezione di grammatica e di sintassi italiana – per un pugno di promettenti parlamentari.

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