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L'arte dello spariglio va forte negli scacchi e pure in politica. Vedi Renzi con il Conte bis

Roberto Volpi

I grandi campioni di scacchi vincono sempre più raramente tra di loro, hanno bisogno di condizioni in certo senso estreme per dare il meglio di sé e prevalere, mentre quando hanno tempo tendono a distendere le loro capacità

Magnus Carlsen è lo svedese 30enne campione del mondo di scacchi dal 2013. Nelle ultime due difese vittoriose del titolo delle 24 partite ufficiali (si gioca al massimo delle 12 partite) ne ha pareggiate 24, vincendo le due sfide per il titolo solo agli spareggi in partite a tempi contingentati, stretti. Il suo punteggio Elo è il massimo di sempre: 2882, ma ai loro tempi tutti conoscevano Karpov, Fisher, Kasparov, mentre Carlsen lo conoscono solo quanti si interessano agli scacchi. Da quando Kasparov nel 1997 ha perso la sfida con Deep Blue, campioni carismatici di scacchi non se ne sono più avuti. La grande e un po’ pazzoide inventiva scacchistica si è come afflosciata, sopravanzata dalle grandi e rigorose sistematicità scacchistiche. Sinfonie che faticano a emozionare.

 

Nel frattempo la grande generazione (Komodo, Stockfish) dei computer che pure, grazie a software sofisticati e potenti che riproducevano memorie e schemi logici del “giocare umano”, non ha concesso scampo ai campioni di scacchi, vincendo sistematicamente tutte le partite, è stata letteralmente annichilita dalle nuove generazioni degli AlphaZero (Google) basati sulle tecnologie delle reti neurali e sul machine learning, capaci di valutazioni euristiche, una sorta di pensiero (molto) laterale che batte la pura forza della matematica, del calcolo probabilistico, della stessa capacità di prevedere fino a 20 mosse dell’avversario con mosse che la teoria degli scacchi non solo non contempla ma che sembrano esulare da ogni logica razionale, come l’avanzamento in campo aperto della regina già nella primissima fase di gioco, la versione offensiva del re, la replica immediata di una stessa mossa, la scarsa considerazione per la perdita di pezzi.

 

Carlsen vince quando il tempo lo costringe all’improvvisazione, quando deve inventarsi qualcosa lì per lì, quand’è pressato da un’urgenza più forte della necessità di razionalizzare, perfino di prevedere. Anzi, quando proprio non ha il tempo per prevedere troppo in là e deve fermarsi a ipotesi che insistono su un raggio più breve, più immediato e impellente. I grandi campioni di scacchi vincono sempre più raramente tra di loro, hanno bisogno di condizioni in certo senso estreme per dare il meglio di sé e prevalere, mentre quando hanno tempo tendono a distendere le loro capacità, invece di concentrarle in guizzi impetuosi, così equivalendosi e pareggiando. Le generazioni di computer della “nuova” intelligenza artificiale (punteggio Elo stimato 4000, inarrivabile dall’intelligenza umana) è come se giocassero sempre in queste condizioni estreme, come se dovessero sempre sparigliare il campo: una strategia che non è alla portata di nessun giocatore “umano”. E anche piuttosto paradossale, vista con occhi umani, giacché suggerisce che una vena di follia, sia pure all’interno di un canone razionale, è rintracciabile piuttosto nell’intelligenza artificiale scacchistica che non nell’acclamato campione di scacchi. Una strategia che proprio in quanto percorsa da questa vena di follia sparigliante suggerisce anche qualcosa – o, almeno, dovrebbe – agli scacchisti e non solo a loro.

 

Del resto, lo sappiamo, lo spariglio è a volte l’unica strategia possibile per smuovere un gioco impantanato, costringendolo a prendere una direzione precisa, ravvisabile e identificabile. E non è forse questo il tempo dello spariglio e degli sparigliatori anche in politica? Per quanto pervicacemente considerato, specialmente a sinistra, avventuristico e personalistico, e quindi doppiamente osteggiato, lo spirito sparigliante in politica si sta sempre più rivelando una risorsa strategica alla quale non si può rinunciare in tempi come quelli che stiamo vivendo di ricerca ossessiva di posizionamenti e riposizionamenti e di millimetrici discostamenti dai posizionamenti precedenti che tendono piuttosto a uniformare, anziché distinguere, aree opposte ma speculari degli schieramenti ideali e politici. Senza uno spirito e una collegata strategia dello spariglio, è pareggio e guerra di posizione logorante e ben poco produttiva, capace di fiaccare, quando pure vi siano, non meno i vincitori dei vinti.

 

Boris Johnson non ha forse cercato di sparigliare, riuscendovi, per uscire dalla palude della Brexit? E non ci ha provato Salvini, però imprudentemente, implicitamente dimostrando quanto sottile sia l’arte dello spariglio, e come poco gli si addica, con la richiesta di elezioni anticipate per avere pieni poteri? Anche i democratici americani hanno in certo senso tentato lo spariglio, per ovviare o nascondere la loro mancanza di leadership, puntando sull’impeachment di Donald Trump. E dove lo vogliamo mettere il vecchio spariglio della discesa in campo di Berlusconi? C’è spariglio e spariglio, certo, sparigli vincenti e perdenti, ma se lo spariglio riesce il vecchio e ambiguo equilibrio si rompe e non si riaggiusta più. Occorre passare ad altro. Lo spariglio vincente assicura al suo artefice un vantaggio difficilmente colmabile da parte di chi lo subisce.

 

Si può vedere in questa veste pure il Renzi d’oggi, alle prese con il governo Conte bis e l’attuale, infeltrita, fase politica: non rottamatore bensì sparigliatore di un equilibrio Pd-Cinque stelle d’opaca direzione e dubbio approdo. Uno sparigliatore con perfetto tempismo, proprio perché apparentemente fuori tempo? O non piuttosto uno sparigliatore fallito perché questa fase politica, per quanto infeltrita, ha bisogno di un paziente aggiustatore millimetrico? E’ il tempo dei pareggi alla Carlsen quando non è preso per la gola o del gioco sparigliante alla AlphaZero che porta la regina nel campo avversario, esposta, dopo 4-5 mosse, quando nessuno se l’aspetta, una cosa che i manuali definiscono peggio che da principianti, da deficienti? Difficile dirlo, al momento. Ma, attenzione, la strategia AlphaZero sembra sul subito votata alla disfatta, prima di finire immancabilmente col trionfare.

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