Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi vota per le elezioni europee (foto LaPresse)

Alla ricerca di un nuovo Cav., sogni e vaghezze di una destra non truce

Carmelo Caruso

Il punto di vista di Gianfranco Rotondi e Sergio Romano 

Roma. Tutti lo cercano, ma nessuno lo trova. “E allora perché non provare a compiere un’operazione di ingegneria genetica?”. A offrire la soluzione è Gianfranco Rotondi che è sempre stato il più fantasioso dei democristiani e che oggi si è dato come missione di individuare l’altro Cav., “un ircocervo che sia uno di noi, e dunque un nuovo Silvio Berlusconi, ma capace di parlare a chi è diverso da noi, quindi un altro Romano Prodi”. E insomma, anche senza l’originalità di Rotondi, la destra oltre Salvini in segreto insegue il leader che non c’è, ma che dovrebbe esserci, l’uomo o la donna di spirito che se ne stanno nascosti come rimaneva nascosto il maestro jedi Obi-Wan Kenobi in Star Wars. In Forza Italia c’è chi lo scorge ancora in Mara Carfagna, ma poi le ricerche ricominciano e portano sempre a Milano, a via Solferino. C’è chi attende con regolarità che l’editore del Corriere della Sera e di La 7, Urbano Cairo, si decida e c’è chi prende le misure delle stoffe e prepara già i vestiti nuovi da cavaliere. “E se così fosse, io dovrei essere il primo ad arruolarmi” confessa Marcello Pera, ma con la malinconia del dopo Ferragosto, quella che prova chi passeggia in spiaggia e inciampa nella brace. E infatti il filosofo di Forza Italia, ex presidente del Senato, dice che sarebbe anche pronto a crederci, anzi, vorrebbe, ma che subito dopo, quando davvero ci riflette, le illusioni prendono combustione e l’Italia torna a essere uno Zibaldone di elettori radicalizzati. “Non mi preoccupa trovare un nuovo leader ma trovare chi quel leader possa votarlo. Non so più se esista una destra mite. Quel leader oggi dovrebbe mettere il rossetto all’Europa, spiegare che ci vuole umanità con i migranti. Mi sembra che questo paese non ha più voglia di normalità. O sceglie Matteo Salvini o sceglie Beppe Grillo”. Non potrebbe scegliere Cairo? “Potrebbe, ma sono certo che un imprenditore come lui, per scendere in campo, aspetterà che la crisi sia ancora più drammatica”.

 

E dunque anche Pera pensa che per andare meglio debba andare un po’ peggio. “Quel nuovo leader tanto fantasticato deve passare come il salvatore della patria, deve presentarsi e dire: ‘Vi porterò io fuori da queste acque’” dice ancora l’ex presidente che proprio non riesce a farsi contagiare dal pensiero dinamico di Rotondi che l’estate non fa altro che accendere. “Innanzitutto – disegna Rotondi – ci vuole un uomo gigionesco, uno che se va dai socialisti dice che è socialista o che se va dai democristiani dice che è sempre stato democristiano”. Non torniamo sempre a Berlusconi? “Si, ma aggiungiamo un po’ di Prodi, il solo capace di dialogare con i carissimi nemici”. Si intravede Cairo… “Il profilo di Cairo è adattabile. A suo favore c’è la fascinazione del denaro. Inoltre non bisogna dimenticare che fa lo stesso mestiere di Berlusconi e che è stato segretario personale di Berlusconi. Sembrano sciocchezze ma non lo sono”. Bastano? “Non basta, ma c’è un’altra qualità a suo favore”. Quale? “Cairo è umile. E’ quello che aspetta l’ospite all’uscio proprio come faceva Berlusconi”.

 

Al Corriere della Sera, l’unico titolato a parlare, e non solo perché conosce la diplomazia, è l’editorialista Sergio Romano che a novant’anni appena compiuti non smette di misurarsi con il presente e sorride quando prova a ragionare di futuro. “Anche io ho sentito parlare di Cairo. Ma non basta dire che ‘un giorno potrei fare politica’. Per farla bisogna rendere visibile l’ambizione”. E invece Cairo – ma anche Berlusconi a Roberto Gervaso diceva: ‘La politica è incompatibile con la mia attività imprenditoriale’ – ha finora soltanto risposto che per la ‘politica non ho tempo. Sono oberato da cose da fare’”. Per Romano, che da storico riconosce nell’ambizione e nella sua manifestazione la qualità indispensabile, l’unica ambizione in questo momento indubitabile è quella di Salvini. “C’è qualcosa di ecclesiastico nella ricerca di questa leadership. Quello che si cerca di fare a destra avviene solo nella Chiesa. In conclave. Di solito, un gruppetto di cardinali si reca dall’arcivescovo di Santiago del Cile e gli chiede di riflettere. In breve, mi sembra che Cairo non abbia manifestato l’intenzione e aggiungo, a volte, neppure basta manifestarla”. I ricordi di Romano tornano a Mario Monti, altro editorialista del Corriere, che non ha dato prova “di ambizione sufficiente”. “E quindi perdonatemi, ma Cairo neppure lo conosco” rivela Antonio Martino che è uno dei fondatori di Forza Italia e che insieme a Pera è un altro dei disincantati, “ma guardi che siamo molti. All’orizzonte non vediamo nulla, ma almeno non perdiamo la testa e non votiamo i ‘grillastri’”.

 

E così, prima di farci prendere dallo sconforto, richiamiamo Rotondi che non ha cambiato opinione, (“Si deve correre il rischio di cercarlo”) e salutiamo Romano, (“Mi ha divertito questo gioco”). “Io, più modestamente, cerco invece qualcuno che in parlamento padroneggi l’italiano. La mia teoria, ampiamente suffragata dai fatti, è che ogni legislatura è peggiore della precedente, ma migliore della successiva” dice ancora Martino che torna in spiaggia un po’ dispiaciuto per non aver saputo indicare il profilo dell’altro Cav., ma per aver abbozzato, al suo posto, la sagoma di Perelà, l’eroe dello scrittore Aldo Palazzeschi. Inafferrabile perché (ancora) di fumo.