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Tg5 sorpassa il Tg1 populista. Bel segnale

Salvatore Merlo

Rai populista in crisi, il Biscione antipopulista del Cav. cresce. Ecco perché

Roma. E accade che nella pazza sera della crisi politica più pazza del mondo, a Cologno Monzese, quartier generale di casa Mediaset, famiglia e azienda, politica e ascolti, business e potere, in quel luogo che è da sempre il termometro berlusconiano sugli umori popolari, viene registrata una di quelle oscillazioni telluriche forse destinate ad avere conseguenze. Il Tg5 della sera, il telegiornale di opposizione antipopulista, batte clamorosamente gli ascolti del Tg1 governativo. E non in un qualsiasi sonnacchioso martedì ferragostano, ma nel giorno in cui si consuma tra capriole e fetecchie il penultimo atto parlamentare della vicenda gialloverde. Clamoroso a Cologno. Sorpassi ce n’erano già stati, in passato. Eppure mai nei giorni di fermento, quando le notizie sono alte e i numeri fuori dall’ordinario. 

 

Tg1 delle otto di sera sotto la soglia di guardia del 20 per cento di share (19.5), Tg5 in crescita costante, sopra di una spanna (20.7), per trentotto interminabili minuti consecutivi, tutta la durata, malgrado le interruzioni pubblicitarie che il Tg1 non ha, mentre anche il Tg di La7 saliva fino al record di 7,6 punti sottraendo spettatori alla Rai. E insomma per sapere cosa succedeva davvero tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, tra il Pd e il M5s in Senato, gli italiani si sintonizzavano sul telegiornale meno salvinista e grillante, tra quelli grandi, sull’ammiraglia di Canale 5, sulle onde del giornale diretto da Clemente Mimun, vecchio radicale, berlusconiano di mondo, che ha interpretato la fase politica del populismo strapotente senza pettinare per il verso giusto i trucismi di governo e lo stupidario No Tav. E tutto questo in una fase in cui l’azienda berlusconiana – come il partito berlusconiano – ha ondeggiato e talvolta molto concesso agli strepiti tele-invasati che ancora prima delle elezioni di marzo 2018 avevano già fatto esclamare a Fedele Confalonieri: “Forse stiamo esagerando. Portiamo i vasi a Samo”, cioè alla Lega.

 

Sempre, d’altra parte, il Cavaliere, in politica come in editoria, gioca più partite e su più tavoli, contemporaneamente, malgrado l’età e le sempre crescenti difficoltà. Persino in queste ore tiene aperta “un’operazione Salvini”, e allo stesso tempo però manda Gianni Letta ad esplorare i cunicoli del Pd. Dunque Mediaset ha un telegiornale solidamente di opposizione (il Tg5) e poi una catena di trasmissioni, sospese tra intrattenimento e informazione, da Barbara D’Urso a Mattino5, da Paolo Del Debbio a Mario Giordano su Rete4, che invece – sotto il diretto controllo del potentissimo Mauro Crippa, direttore dell’informazione – stanno dall’altra parte della barricata, e con ascolti di riguardo, che finora hanno rispecchiato i sondaggi gonfi di Salvini (e garantiscono ricavi). Ma adesso, boom. E’ successo qualcosa di clamoroso. Il Tg5 d’opposizione supera il Tg1 di governo. L’ultima volta che un sorpasso del genere era stato considerato “storico” fu a gennaio del 1992, prima edizione assoluta del Tg5, con Enrico Mentana alla conduzione di una macchina tutta nuova e non rodata. Una diretta disastrosa: servizi che non partivano, l’abilissimo Mentana che s’impappinava e sudava dal nervosismo, eppure… fu battuto il Tg1. E ancora tutti se lo ricordano: Austerlitz!

 

Riaccade adesso, e di nuovo il sorpasso viene accolto come un segnale, storico, a suo modo. Perde infatti il Tg1 guidato da Giuseppe Carboni, il giornalista Rai che Grillo e Di Maio (Carboni era il cronista che seguiva il M5s per il Tg2, “sono un signor nessuno”, disse di sé) vollero elevare alla direzione del Tg più seguito d’Italia, e che più di qualche critica di partigianeria se l’è già presa. Succede quindi qualcosa d’interessante, un fenomeno che già da un anno veniva segnalato dalla flessione di ascolti del Tg1, quasi parallelo al crollo dei 5 stelle: a settembre del 2018, con il direttore Andrea Montanari, lo share medio del Tg1 era al 24,78 ma già a novembre dopo i due mesi di Carboni lo share era precipitato al 22,91. Così adesso a Mediaset qualcuno comincia a suggerire l’idea che gli ascolti (e i ricavi) si possono fare anche senza il trash e l’hardcore telepopulista. L’azienda, con i suoi risultati di ascolto, misurati al millimetro, è fonte di guadagni pubblicitari ma anche una spia delle inclinazioni polari, due cose che si tengono insieme. Unità di misura talvolta anche delle scelte del fondatore e padrone, il Cavaliere. Chissà. Ieri sera la voce era questa: Berlusconi ha rotto con la Lega.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.