Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti (foto LaPresse)

Alle elezioni regionali il Pd sceglie l'irta via senza primarie

David Allegranti

Umbria, Emilia Romagna e Toscana andranno al voto tra l’autunno e l’anno prossimo. Il centrodestra ha buone chance di vittoria e procede spedito sulle candidature. I Democratici, invece, sono alle prese con scelte difficili

Roma. Umbria, Emilia Romagna, Toscana. Tre (ex) regioni rosse che in questi anni hanno dato parecchia soddisfazione ai leghisti e che andranno al voto tra l’autunno e l’anno prossimo (per non dimenticare la Calabria, sempre al voto).

Il centrodestra, colonizzato dal partito di Matteo Salvini, ha buone chance di poterle strappare al centrosinistra e procede spedito sulle candidature; in Emilia potrebbe puntare su Lucia Borgonzoni ma giusto ieri Fratelli d’Italia ha proposto la candidatura di Alessandro Meluzzi, in Umbria su Donatella Tesei, mentre in Toscana è stata appena rimessa in discussione Susanna Ceccardi. E il centrosinistra? E’ alle prese con scelte difficili (tranne che in Emilia, dove la scelta è stata facilissima); il marchio Lega continua a funzionare, nonostante tutto, quello del Pd stenta e il partito di Zingaretti è costretto a cercare un “campo largo” evitando, dove possibile, le primarie. Segno dei tempi.

 

Prendiamo l’Umbria, la prima delle tre regioni ad andare al voto (salvo slittamenti che potrebbero essere decisi a fine agosto). Il commissario umbro Walter Verini vorrebbe evitare le primarie. “Se noi, come centrosinistra allargato, troviamo una figura di forte impronta sociale e civica che riesca a fare da federatore, un po’ come fu Romano Prodi nel 1996 con l’Ulivo, e a mettere d’accordo una coalizione molto ampia – una coalizione di mondi prima che di sigle – ecco se ci fosse questa figura non ci sarebbe bisogno delle primarie”, dice al Foglio. Comunque, sottolinea Verini, “non pensiamo a candidature marcatamente di partito. Per questo auspichiamo che nasca una coalizione, un progetto ampio, che abbia il Pd tra i protagonisti ma non necessariamente quello che guida la locomotiva. Per questo mi pare un po’ sfasato parlare di primarie”. Verini dice di non voler fare paragoni impropri con una stagione gloriosa per il centrosinistra, “ma nel ’96 Prodi tenne insieme tutti nell’Ulivo, da Lamberto Dini a Rifondazione che fece desistenza”. Per questo il Pd in Umbria assiste interessato alle “iniziative già in corso delle varie reti civiche”. “Per me il Pd non era autosufficiente neanche quando era al 40 per cento, figuriamoci oggi”, dice Verini.

 

E in Toscana? Anche qui c’è chi vorrebbe evitare le primarie, magari candidando direttamente la segretaria regionale Simona Bonafè, appena rieletta all’europarlamento e la più votata della circoscrizione dell’Italia centrale (120.959); il problema di questo ragionamento è che scambia le elezioni europee per delle primarie anticipate, confondendo le preferenze del collegio dell’Italia centrale con quello dei toscani di centrosinistra pronti ad andare ai gazebo. Il Pd toscano è insomma diviso. Da una parte c’è chi vorrebbe lasciar perdere lo “scontro fratricida”, dall’altra c’è chi invece è già pronto a candidarsi, come il presidente del Consiglio regionale uscente, Eugenio Giani. Eppure le primarie, specie se partecipate e combattute, non sarebbero solo un’occasione per contarsi (l’incomprensibile e paradossale paura della politica: una competizione basata sul consenso) ma per avviare un dibattito sul futuro dell’amministrazione pubblica. Sarebbero anche un’occasione per capire quale coalizione possibile può nascere in Toscana. I dibattiti pubblici, come quello sulle infrastrutture (a partire dall’aeroporto di Firenze), entrerebbero a far parte di una competizione serrata e non solo dello scambio su Twitter.

 

Diverso il discorso in Emilia. Stefano Bonaccini è il governatore uscente, è al primo mandato, da poco ha sciolto la riserva e annunciato che sarà in campo. Il problema principale per il centrosinistra è riportare al voto gli elettori delusi. Nel 2015, l’attuale governatore prese solo il 49 per cento del 37 per cento dei votanti.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.