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La grande balla dell'estremismo moderato

Claudio Cerasa

Arrendersi al bipolarismo tra M5s e Lega? La competizione tra populismi ha alimentato l’illusione che Di Maio e Salvini possano avere un volto non populista. La differenza tra classe dirigente e digerente e il vaccino contro un governo fuori controllo (spread a 280)

Il tema politico del momento, al di là di tutti i possibili giochi con la palla di vetro sul futuro del governo, riguarda una questione interessante e forse persino imbarazzante di fronte alla quale si saranno ritrovati molti di voi negli ultimi giorni leggendo i resoconti relativi ai quotidiani scazzi di governo. Il tema, in modo brutale, potrebbe essere sintetizzato così: ma un osservatore critico con il governo, come si deve comportare quando uno tra Di Maio e Salvini volontariamente o più spesso involontariamente dice delle cose condivisibili? Può piacere oppure no, ma l’elemento interessante della conflittualità tra i due populismi di governo è legato al fatto che sia Salvini sia Di Maio, dovendo combattere l’uno il populismo dell’altro, sono spesso costretti ad attaccarsi tra di loro utilizzando, a volte, delle convincenti argomentazioni antipopuliste.

 

I risultati, per quanto possano essere fastidiosi da ammettere, sono da mesi sotto gli occhi di tutti. Per attaccare Salvini sull’immigrazione, succede che Di Maio dica la verità quando parla dei porti (che sono aperti e non sono chiusi), quando parla dei risultati raggiunti da Salvini sui rimpatri (nessun nuovo accordo fatto nonostante le promesse del Truce di riportare a casa loro centinaia di migliaia di irregolari), quando parla delle conseguenze delle alleanze costruite in giro per l’Europa dal ministro dell’Interno (a forza di allearci con i nostri nemici l’Italia, si è ritrovata a non avere più amici in Europa).

 

Per attaccare Di Maio sull’economia, succede che Salvini dica la verità quando parla di imprenditori da aiutare e non da penalizzare (le tasse vanno abbassate e non alzate come fatto finora dal governo), quando parla delle infrastrutture da sbloccare (per esempio la Tav), quando parla di un’Italia che ha un problema grave con la durata dei processi (ma la legge che elimina la prescrizione l’ha votata anche Salvini). Per attaccare Salvini sull’antifascismo, succede che Di Maio dica cose naturali sul 25 aprile (“è la festa di tutti”) e che un sindaco del M5s si ritrovi dalla parte giusta difendendo in una periferia romana alcune famiglie di rom assediati dagli abitanti del quartieri.

 

Per attaccare Di Maio sulla giustizia, succede che Salvini dica delle cose giuste sul garantismo (un indagato è innocente fino a prova contraria) e succede che dica delle cose giuste sulla magistratura (le carriere dei giudici e dei magistrati vanno separate). Per attaccare Salvini sulla sicurezza, succede che Di Maio dica delle cose giuste quando critica gli occhiolini strizzati dalla Lega ai neofascisti (“Nelle piazze è tornata una divisione tra estremismi che non credo faccia bene a nessuno”) e succede che il M5s dica delle cose giuste quando parla di ciò che si rischia giocando con il fuoco del securitarismo (“Viviamo all’interno di una tensione sociale palpabile”).

 

Per attaccare Di Maio sulla politica estera, capita che Salvini si ritrovi dalla parte giusta quando difende Guaidó in Venezuela (ma il governo ringraziato da Maduro è lo stesso governo di cui fa parte Salvini). Per attaccare Salvini sull’Europa, capita che Di Maio si ritrovi dalla parte giusta quando rimprovera Salvini per le sue alleanze (“L’ultradestra è un pericolo per la democrazia”, ma anche i suoi alleati in Europa non sono niente male).

  

Questa piccola e disorientante carrellata di concetti non estremistici da parte dei due estremisti leader di governo ci offre almeno tre spunti di riflessione che meritano di essere approfonditi. Il primo è legato al fatto che il populismo riesce a dare l’impressione di essere presentabile solo a condizione di combattere uno dei due populismi. Il secondo spunto è legato al fatto che la possibile e teoricissima istituzionalizzazione di uno dei due populismi passa necessariamente dalla fine di questo governo. Il terzo spunto riguarda un elemento sorprendente della campagna elettorale per le europee, ovverosia la consapevolezza da parte dei due estremismi di governo di non potersi affermare in Italia senza dare l’impressione di essere in qualche modo “moderati” (come ripetono in continuazione sia Di Maio sia Salvini sperando che ripetendo una bugia cento, mille, un milione di volte questa, come diceva Goebbels, diventerà realtà) e senza dare l’impressione di costituire in qualche modo un argine al populismo (pur essendo entrambi espressamente e dichiaratamente populisti).

 

Arrivati a questo punto del nostro ragionamento vale però la pena di ritornare alla domanda da cui siamo partiti: ma un osservatore critico con il governo come si deve comportare quando uno tra Di Maio e Salvini volontariamente o più spesso involontariamente dice delle cose condivisibili? È evidente che il moderatismo di Salvini o di Di Maio sia una gigantesca illusione, una posa utile a non rendere sovrapponibili i due estremismi di governo. Ma dato che alle prossime elezioni politiche sarà difficile – e lo diciamo con un sorriso – che possa affermarsi il romantico modello Gela, ovvero un patto di governo tra pezzi di Pd e pezzi di Forza Italia, prima o poi sarà necessario ragionare intorno a un tema da voltastomaco: alla prossima occasione, andrà fatto di tutto oppure no per promuovere una qualsiasi soluzione politica diversa da quella attuale?

 

Illudersi che esista un populismo estremista più presentabile dell’altro è una sciocchezza tipica di una classe dirigente specializzata a essere più digerente che dirigente (se lo spread ieri è arrivato a 280 punti base non è perché Salvini ha detto di essere pronto a sforare tutti i parametri europei ma è perché i mercati considerano credibile che il progetto di Salvini possa essere assecondato da Di Maio). Non capire però che buona parte della classe dirigente italiana (con Repubblica che si candida già a fare il giornale puparo del governo Pd-M5s) è impegnata ormai da mesi a ragionare su questo tema significa non capire qual è la vera sfida di fronte alla quale si trovano le opposizioni al governo: evitare cioè che gli italiani si rassegnino a considerare la sfida tra M5s e Lega come il cuore del nuovo bipolarismo italiano. Il 26 maggio ci dirà se l’opposizione giusta per evitare di dover scegliere uno dei due mali non minori sia quella attuale o sia quella che deve ancora nascere.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.