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rivolta agricola

Lo spread della realtà. Perché la Lega ha un guaio grosso con gli agricoltori

Alberto Brambilla

Il protezionismo spaventa, la sfiducia fa paura. Ma la politica della decrescita colpirà il settore. Voci da un altro fronte. Intanto il differenziale ieri ha toccato quota 276

Roma. La stagnazione economica autoindotta dall’inconcludenza del governo gialloverde non è una preoccupazione soltanto per gli industriali ma comincia a mettere in subbuglio anche l’agricoltura. Il settore non ha ricevuto né la protezione, propagandata da Matteo Salvini, né l’assistenza che sperava. “Non mi preoccupo dello spread ma degli agricoltori”, diceva Salvini a ottobre scorso dal Villaggio della Coldiretti, l’associazione dei coltivatori diretti che rappresenta circa un milione e mezzo di iscritti. Lo spread, inteso come indicatore del rischio paese da parte degli investitori (ieri a quota 276), invece conta e ha un peso anche sul settore agricolo che, in quanto industria, non è esente dalle dinamiche internazionali degli scambi commerciali e della attrazione degli investimenti.

 

Le esportazioni del settore agricolo sono in leggera flessione e i consumi domestici sono in stallo. Nel primo caso, le esportazioni sono cresciute dell’1,8 per cento nell’ultimo anno contro una media del 7 per cento negli anni precedenti. Un risultato che può peggiorare viste le tensioni internazionali dovute all’imposizione di dazi alle importazioni di prodotti cinesi da parte degli Stati Uniti, e viceversa di prodotti americani in Cina, che possono generare una riduzione dei prezzi dei prodotti agricoli. Nel secondo caso, a livello di consumi interni, rimasti piatti, l’aumento dell’imposta sui consumi – già approvata per il prossimo anno per coprire le spese per reddito di cittadinanza e quota cento, che di effetti sui consumi ne hanno pochi – provocherà una sofferenza del settore. “Colpirà anche i beni alimentari, i cui acquisti sono rimasti quasi piatti durante l’anno scorso, in un contesto generale per cui siamo di fronte a un minore consumo domestico”, dice Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura.

 

La disattenzione al settore – una costante tranne quando diventa un’emergenza a causa di calamità – è un problema, segnalato nelle audizioni al Def, dalle associazioni di agricoltori come Confagricoltura, Cia, Copagri e Coldiretti: né nella legge di Bilancio né nel decreto crescita sono state previste misure a favore del sostegno temporaneo all’agricoltura, a causa del maltempo, né strutturali, per incentivare la meccanizzazione con agricoltura di precisione. La percezione della distanza tra demagogia e realtà la dà la tempistica della discussione parlamentare del “decreto emergenze” di cui si iniziò a parlare a gennaio e che approderà in Senato dopo essere passato alla Camera in aprile. Vengono concessi 34 milioni dal Fondo di solidarietà nazionale a favore degli agricoltori pugliesi colpiti dalla gelata dell’anno scorso, in deroga alla norma nazionale che non prevede stanziamento di fondi per gli agricoltori che potevano assicurarsi ma non l’hanno fatto; un problema strutturale diffuso al sud che resta irrisolto.

 

Si interviene solo con una logica emergenziale senza risolvere problemi strutturali, come ad esempio la mancata assicurazione degli agricoltori soprattutto al sud – dice Mino Taricco, senatore del Pd membro della commissione Agricoltura –. Questa è una spia di come la politica sia guidata dalla contingenza e dell’episodicità. Non esiste e non si parla di una strategia del settore agricolo nei prossimi vent’anni nonostante cambiamenti fenomenali nella competizione internazionale”, dice Taricco.

Una politica lungimirante avrebbe come obiettivo quello dello sviluppo tecnologico delle aziende agricole dal momento che negli ultimi tre anni solo il 22 per cento ha investito in strumenti tecnologici. Se l’ambizione è quella di tornare a una società rurale l’obiettivo sarà sicuramente centrato, ma non quello di restare competitivi a livello mondiale. Il 4 per cento delle aziende italiane ha una dimensione media superiore ai 50 ettari, in Francia il 41 per cento delle aziende agricole coltiva più di 50 ettari. E inoltre in Germania solo l’8 per cento dei proprietari di aziende agricole ha più di 65 anni, mentre in Italia ha più di 65 anni il 41 per cento.

 

Che il governo gialloverde abbia una strategia controcorrente lo dicono i risultati per il commercio agricolo dell’accordo di libero scambio tra Europa e Canada (Ceta). L’accordo con il Canada era stato avversato da Lega e Movimento 5 stelle paventando invasioni di prodotti esteri, come il grano, e, in parallelo, di mancata tutela dei prodotti italiani. Il Ceta è entrato in vigore in via provvisoria nell’ottobre 2017 e deve essere ratificato dagli stati membri. E’ improbabile che Lega e M5s portino la ratifica in Parlamento, in modo da evitare dissidi tra loro. Intanto però i primi dati sono confortanti secondo i calcoli della Confederazione italiana agricoltori (Cia). Le esportazioni verso il Canada sono aumentate del 6 per cento, contro un aumento delle esportazioni verso tutti gli altri mercati del 3 per cento. Le bottiglie di vino “made in Italy” hanno aumentato le vendite verso il Canada di 3 punti percentuali. Mentre formaggi e latticini hanno aumentato le vendite del 22 per cento. Le importazioni di grano canadese invece si sono dimezzate, meno 50 per cento in un anno, al contrario di quanto paventato dai partiti sovranisti.

 

Come spesso accade l’apertura di nuovi mercati, o i cambiamenti nell’assetto internazionale, comportano la ricerca di nuovi fornitori o di nuovi sbocchi. La competizione asiatica, per esempio, ha portato i risicoltori piemontesi a cimentarsi in altre varietà entrando in competizione con i produttori orientali. A ridosso delle elezioni europee non si discute di una revisione delle quota dei fondi per la Politica agricola comune (Pac) fondamentale per il sostegno al reddito delle aziende agricole. Dalle prime analisi fatte da Confagricoltura risulta che l’Italia rischia di perdere oltre 20 miliardi di euro nel prossimo quinquennio nella ripartizione del budget europeo, un po’ per il venire meno del contributo del Regno Unito a causa della Brexit e un po’ per il conferimento a politiche per l’immigrazione dei fondi. Eppure tra chiusura di cannabis shop e flat tax, il vicepremier Salvini che aveva a cuore gli agricoltori più dello spread non sembra preoccupato.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.