Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Sessanta professori contro le politiche fiscali del governo: l'irresponsabilità non ha colore politico

Il governo Conte ha promesso nuove entrate fiscali per circa 52 miliardi tra il 2020 e il 2021 senza chiarire le fonti di entrata. Il problema per le prossime generazioni

[Roma, 14 maggio. È il giorno in cui lo spread è salito fino a quota 281 punti, il massimo da oltre tre mesi. Merito o colpa, scegliete voi, delle sparate di Matteo Salvini che oggi è tornato a ipotizzare una violazione delle regole comunitarie in tema di deficit: “Se servirà infrangere alcuni limiti del 3 per cento o del 130-140 per cento, tiriamo dritti. Fino a che la disoccupazione non sarà dimezzata in Italia, fino a che non arriveremo al 5 per cento di disoccupazione spenderemo tutto quello che dovremo spendere e se qualcuno a Bruxelles si lamenta ce ne faremo una ragione”. Parole che non sono piaciute a Luigi Di Maio: “Mi sembra abbastanza irresponsabile far aumentare lo spread in quel modo, come sta accadendo in queste ore, parlando di sforamento del rapporto debito/pil. Prima di spararle sul debito/pil mettiamoci a tagliare tutto quello che non è stato ancora tagliato in questi anni di spese inutili, di grande evasione e di spending review da un punto di vista strutturale anche degli enti locali che sprecano ancora tanti soldi, non solo nei vitalizi che gli abbiamo già tagliato, ma anche in tanti altri sprechi della politica”].


 

Al direttore - Nel Documento di Economia e Finanza, il governo Conte ha promesso nuove entrate fiscali per circa 52 miliardi tra il 2020 e il 2021. Queste entrate non sono solo necessarie per compensare i disavanzi contratti durante la recessione del 2008-2013, il rallentamento della crescita e l’aumento dei tassi d’interesse, ma anche per finanziare nuove spese, come il Reddito di Cittadinanza e “Quota 100” che, secondo il Def, incrementano le prestazioni sociali di oltre 48 miliardi dal 2020 al 2022 (+0,8 per cento di pil all’anno). Con tale programma di finanza pubblica, l’aumento delle aliquote Iva e delle accise non ha alternative credibili. I ministri parlano di privatizzazioni, eliminazione d’incentivi fiscali e risparmi dei ministeri, ma queste misure possono coprire solo una frazione trascurabile del fabbisogno complessivo. A completare il quadro s’inserisce la proposta di abbattimento delle aliquote fiscali (cosiddetta flat tax), che, secondo stime attendibili, farebbe lievitare il disavanzo tra i 12 e i 17 miliardi all’anno. Il governo non ha ritenuto di chiarire quali fonti di entrata consentirebbero questo progetto ambizioso, oltre all’aumento dell’Iva necessario a finanziare spese già approvate.

 

In contrapposizione con quanto previsto dal Documento di Economia e Finanza, il ministro Salvini ha dichiarato recentemente di essere contrario a un aumento dell’Iva e di ogni altra imposta, e ha avanzato l’improbabile ipotesi che questa violazione degli impegni presi con l’Unione Europea sarebbe “perdonata” dalla prossima Commissione Europea. Anche se ciò avvenisse, si dimentica di dire che il nuovo debito sarà pagato dalle prossime generazioni e che la Commissione non è né l’unico né il più importante dei nostri interlocutori. Il Tesoro deve collocare ogni anno sul mercato 300-400 miliardi di titoli pubblici e, se non fossero raccolte le risorse già previste, il disavanzo pubblico aumenterebbe oltre il 3,4 per cento del pil nel 2020 ed il debito pubblico salirebbe al 139 per cento nel 2024 (secondo stime Fondo monetario internazionale). Le agenzie di rating mantengono un giudizio di credito stabile ma le loro previsioni (outlook) sono negative. Se gli impegni di bilancio non fossero mantenuti e la crescita continuasse a languire, un declassamento sarebbe estremamente probabile. Qualora i nostri titoli perdessero la qualifica di “investment grade” si innescherebbe con ogni probabilità una crisi di fiducia e una fuga dei capitali, con conseguenze potenzialmente molto gravi sulla stabilità delle banche, sulla ricchezza delle famiglie e sull’occupazione.

 

Occorre che il governo chiarisca quale strada intende percorrere: se aumentare ora la pressione fiscale, rischiare una crisi finanziaria o, infine, impegnarsi in una seria revisione della spesa pubblica e delle promesse elettorali. Questi problemi riguardano le famiglie e le imprese italiane e prescindono da interessi di parte e dall’orientamento ideologico: l’irresponsabilità fiscale non ha colore politico.

 

Antonio Acconcia, Università di Napoli Federico II;

Michele Bagella, Università di Roma Tor Vergata;

Fabio Bagliano, Università di Torino;

Massimo Baldini, Università di Modena;

Giorgio Barba Navaretti, Università di Milano;

Giorgio Basevi, Università di Bologna;

Giorgio Bellettini, Università di Bologna;

Carlotta Berti Cerioni, Università di Bologna;

Graziella Bertocchi, Università di Modena;

Andrea Boitani, Università Cattolica di Milano;

Massimo Bordignon, Università Cattolica di Milano;

Laura Bottazzi, Università di Bologna;

Agar Brugiavini, Università di Venezia;

Renato Brunetta, Università di Roma Tor Vergata;

Giacomo Calzolari, Istituto Universitario Europeo;

Daniele Checchi, Università di Milano;

Innocenzo Cipolletta, economista;

Claudio De Vincenti, Università di Roma La Sapienza;

Giorgio Di Giorgio, Luiss G. Carli;

Guido Fabiani, Università di Roma 3;

Carlo Favero, Università Bocconi;

Emanuele Felice, Università di Chieti G. D’Annunzio;

Francesco Figari, Università dell'Insubria;

Carlo Fiorio, Università di Milano;

Mario Forni, Università di Modena;

Giampaolo Galli, Osservatorio dei Conti Pubblici, Università Cattolica di Milano;

Anna Giunta, Università di Roma 3;

Sandro Gronchi, Università di Roma La Sapienza;

Luigi Guiso, Istituto Einaudi per l’Economia e la Finanza;

Bruna Ingrao, Università di Roma La Sapienza;

Tullio Jappelli, Università di Napoli Federico II;

Fiorella Kostoris, Università di Roma La Sapienza;

Marco Lippi, Istituto Einaudi per l’Economia e la Finanza;

Ernesto Longobardi, Università di Bari;

Paolo Manasse, Università di Bologna;

Luigi Marengo, Luiss G. Carli;

Fabrizio Mattesini, Università di Roma Tor Vergata;

Claudio Michelacci, Istituto Einaudi per l’Economia e la Finanza;

Alessandro Missale, Università di Milano;

Tommaso Nannicini, Università Bocconi;

Salvatore Nisticò, Università di Roma La Sapienza;

Fabrizio Onida, Università Bocconi;

Pier Carlo Padoan, Università di Roma La Sapienza;

Marco Pagano, Università di Napoli Federico II;

Fausto Panunzi, Università Bocconi;

Riccardo Paternò, Università di Napoli Federico II;

Vito Peragine, Università di Bari;

Michele Polo, Università Bocconi;

Paola Potestio, Università di Roma 3;

Alberto Pozzolo, Università del Molise;

Pietro Reichlin, Luiss G. Carli;

Giorgio Rodano, Università di Roma La Sapienza;

Francesca Sanna Randaccio, Università di Roma La Sapienza;

Claudio Sardoni, Università di Roma La Sapienza;

Carlo Scarpa, Università di Brescia;

Filippo Taddei, Johns Hopkins University, Bologna;

Roberto Tamborini, Università di Trento;

Gianni Toniolo, Luiss G. Carli;

Giovanni Vecchi, Università di Roma Tor Vergata

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