Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista (foto LaPresse)

Gli irresponsabili

Luciano Capone

Di Maio e Dibba lasciano che a decidere sia Rousseau. Casaleggio gestisce tutto ma non risponde di nulla a nessuno

Roma. “Decideranno i nostri iscritti che sono in grado di comprendere il quesito e votare secondo coscienza. Io da capo politico del movimento sosterrò il risultato che verrà fuori”. Sul caso Diciotti e sulla concessione dell’autorizzazione a procedere per sequestro di persona nei confronti di Matteo Salvini, la posizione di Luigi Di Maio ricorda quella di Laura Castelli, che in televisione sosteneva la necessità di un referendum per l’uscita dall’euro e alla domanda su cosa lei avrebbe votato rispondeva: “Non lo so”. Una risposta che è la sintesi perfetta dell’incapacità di volere e soprattutto di “assumersi le responsabilità” che, secondo il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti, è proprio il compito che spetta a chi governa.

     

Quella di Di Maio è peraltro la stessa posizione di Alessandro Di Battista, che si esprime con estrema convinzione su mille cose di cui capisce poco, dal franco africano che favorirebbe l’immigrazione alle cure del cancro che farebbero ridurre il pil, e invece non riesce a esprimere un’opinione su un argomento come l’autorizzazione a procedere nei confronti di un politico indagato. Sì o no?, gli chiedeva Floris. “Sono proprio sincero, ci stanno delle dinamiche interne, io non voglio pestare i piedi a chi sta leggendo le carte, si devono esprimere loro”. Di Battista diceva che devono decidere i parlamentari, perché lui è un semplice militante e sono gli eletti del popolo ad avere avuto la delega per rappresentare gli elettori nelle istituzioni. Ma quando, con un cambio di strategia, per cavarsi d’impaccio, i vertici del M5s hanno stabilito che a decidere dovessero essere i militanti iscritti a Rousseau con un referendum online in ossequio alla “democrazia diretta” al posto di quella “per delega”, Di Battista – che da semplice attivista avrebbe potuto dire la sua – si è rinchiuso in una sorta di mutismo.

    

A rendere però più inquietante e distopico questo meccanismo plebiscitario che ha lo scopo di deresponsabilizzare chi comanda, c’è il fatto che a governarlo è un sovrano assoluto. Il paradosso, insomma, è che il movimento politico nato per superare la democrazia rappresentativa con quella diretta e sostituire la “delega” con la “partecipazione diretta”, sia fondato su una delega in bianco a Davide Casaleggio, sul cui ruolo né militanti né eletti hanno alcun potere di indirizzo e di controllo.

 

  

Perché, come scrisse il Foglio quando rivelò l’atto costitutivo e lo statuto dell’associazione allora tenuti segreti da Casaleggio, la piattaforma Rousseau non è del M5s ma dell’Associazione Rousseau, il cui padrone assoluto e perpetuo è Davide Casaleggio. E il figlio di Gianroberto, che dal padre ha ereditato affari e partito, non ha “donato” – come continua a ripetere – il “sistema operativo” sviluppato dalla sua azienda al movimento, ma lo ha ceduto all’Associazione Rousseau (cioè a se stesso).

 

  

Sono invece i parlamentari del M5s quelli che “donano”, obbligatoriamente, 300 euro al mese a Rousseau per il colabrodo informatico che Casaleggio ha “donato” a se stesso. Ora sembra essersene accorto anche qualche eletto: “L’Associazione Rousseau da marzo 2018 ha ottenuto circa un milione di euro per implementare la piattaforma – ha scritto ieri la senatrice M5s Elena Fattori –. A oggi non è dato di avere né una fattura o una ricevuta del versamento né un rendiconto puntuale di come sono stati impiegati questi soldi. Almeno dovrebbe funzionare come un orologio svizzero. Non riesco neanche a connettermi”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali