Zingaretti, Minniti e Martina ci dicono che non c'è un piano B con il M5s: votare si può
I tre candidati alla segreteria Pd smontano con un sms al Foglio la bufala con cui Di Maio ricatta Salvini: no, se cade questo governo non c’è un altro governo. Perché l’economia in crisi costringerà Salvini a fare una scelta: rompere o no?
Due giorni fa lo scrittore Sandro Veronesi ha detto a Radio Capital che pur di non vedere più al governo questa banda di pericolosi incapaci firmerebbe con il sangue per riavere come premier l’odiato Silvio Berlusconi. Non si può pretendere lo stesso dall’unico politico italiano che per il momento è riuscito a rottamare parzialmente Silvio Berlusconi, ovvero Matteo Salvini, ma alla luce di tutto quello che sta succedendo negli ultimi mesi in Italia, alla luce del disastro economico generato dal governo del cambiamento, alla luce del primo trimestre a crescita sotto zero arrivato dopo quattro anni di crescita in coincidenza con il governo sovranista, alla luce dei 627 posti di lavoro al giorno bruciati nei mesi del governo dello sfascio, contro i 727 al giorno creati nei quattro anni precedenti, è possibile porre una domanda non polemica al ministro: ma l’alleanza che ha stretto Salvini con Di Maio è un’alleanza di necessità, e dunque provvisoria o è un’alleanza strategica, e dunque di campo?
La domanda diventa ogni giorno più centrale non solo per le note questioni legate all’economia – ieri l’Istat ha confermato quello che il Foglio aveva anticipato, ovvero che la recessione non è un tema del futuro ma è già un tema del presente – ma anche per questioni legate a due dinamiche politiche che riguardano la Lega e il Pd. Nella Lega, come sapete, esistono due visioni diverse rispetto al futuro di questo governo.
La prima visione è quella di Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che ripete ogni giorno ai suoi interlocutori che prima questo governo cade, prima cioè si torna a un governo di centrodestra, e meglio sarà per il paese. La seconda visione è quella di Salvini che in privato usa toni dispregiativi per apostrofare i grillini di governo ma che poi ai suoi interlocutori, per giustificare l’impossibilità di seguire la linea Giorgetti, offre spesso un’argomentazione apparentemente convincente: non possiamo rompere perché un minuto dopo Di Maio ci porterebbe all’opposizione e farebbe in un lampo un governo con il Pd. La tesi del piano B grillino è una teoria molto sponsorizzata dal Movimento 5 stelle per dissuadere Salvini dal fare colpi di testa, ma la tesi grillina e salviniana presenta un problema direttamente collegato con il futuro del Pd e con il prossimo congresso. E il problema è autoevidente: ma davvero il Pd in caso di crisi di governo sarebbe disposto in questa legislatura a fare quello che non ha voluto fare all’inizio della legislatura?
I tre principali candidati alla guida del Pd, Nicola Zingaretti, Marco Minniti e Maurizio Martina, hanno disseminato sul terreno diversi indizi che potrebbero far credere che chiunque sia scelto alla guida del Pd, pur di non tornare a votare, potrebbe farci un pensierino rispetto all’accordo con il Movimento 5 stelle. Zingaretti, avendo già costruito per un breve periodo un’alleanza con i 5 stelle in regione nel Lazio, è il sospettato numero uno. Maurizio Martina, avendo trattato dopo il 4 marzo per costruire un’alleanza con il Movimento 5 stelle, è il sospettato numero due. Marco Minniti, ex ministro dell’Interno, ha sempre sposato la linea di Matteo Renzi, mai un governo con il movimento, salvo dire in un’intervista a Repubblica due settimane fa di non considerare un tabù l’accordo nel futuro: “Questo discorso può essere fatto solo dopo che questa maggioranza nazionalpopulista verrà sconfitta nel paese”.
Per non restare nel dubbio abbiamo fatto una cosa semplice e lo abbiamo chiesto direttamente ai tre candidati, domandando il permesso di riportare le loro parole.
Domanda numero uno a Zingaretti: se vincerà le primarie possiamo dire che non esiste alcuna opzione di alleanza con il M5s in caso di crollo del governo? Risposta di Zingaretti: certo, non esiste.
Domanda numero due a Minniti: dovesse vincere l’ex ministro, possiamo dire che è esclusa un’alleanza con i 5 stelle in caso di crisi di governo? Risposta di Minniti: senza dubbio, si farebbe l’alleanza tra due sconfitti, noi abbiamo perso le elezioni, loro la sfida per il governo, e un’alleanza no, non esiste.
Finiamo il giro e andiamo da Martina. Stessa domanda e stessa risposta: in caso di vittoria nessuna possibilità di fare un governo con il Movimento 5 stelle.
Sintesi virgolettabile di tutti e tre i candidati: “L’opzione non esiste”. Naturalmente, può capitare che un leader con bassa legittimazione più che guidare i gruppi parlamentari sia guidato dai gruppi parlamentari – ed è fisiologico che un gruppo parlamentare prima di andare a votare faccia di tutto per valutare se votare sia l’unica opzione. Ma ciò che Salvini da questo momento in poi non potrà più dire è che la ragione per cui non rompe con Di Maio è legata al piano B di Di Maio. Quel piano non esiste. Gli alibi per non andare a votare presto non esistono.
Persino il presidente della Repubblica sarebbe favorevole a un voto anticipato – un Parlamento con una maggioranza di centrodestra più forte di oggi renderebbe meno spaventosa la sua successione. Rompere con il Movimento 5 stelle dunque si può. Tentare di rimescolare le carte alle elezioni è possibile. E non volerlo, per il Truce, non è una scelta obbligata, come può essere quella di saltare all'ultimo un vertice di centrodestra, ma è una scelta voluta. E più passerà il tempo e più per Salvini sarà complicato dimostrare di essere la vittima e non il responsabile con Di Maio del patto di sangue per sfasciare l’Italia. Tic tac.
L'editoriale del direttore