Da sinistra Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Matteo Salvini (foto LaPresse)

La truffa dei sovranisti all'amatriciana

Claudio Cerasa

Dai migranti all’Euro passando per il deficit, le missioni militari, la Russia, la Nato. Dall’Europa arriva un’altra lezione per l’Italia populista: senza cambiare alleati e programma, il governo del cambiamento è un pericolo per l’interesse nazionale

Sull’accoglienza si deciderà sulla base di meccanismi volontari. Sugli hotspot si opererà sulla base di meccanismi volontari. Il trasferimento e il reinsediamento dei migranti irregolari e regolari avverrà sulla base di meccanismi volontari. I paesi di Visegrád (Ungheria, Austria, Polonia) chiedevano di non toccare la riforma di Dublino, di eliminare ogni criterio di obbligatorietà nella ripartizione dei migranti, di rinviare ogni ragionamento su identificazione e collocazione nei centri di accoglienza e di scaricare sui paesi di primo approdo gli obblighi relativi ai movimenti secondari e alla fine hanno ottenuto tutto quello che chiedevano.

 

Il primo ministro italiano, Giuseppe Conte, aveva il compito di combattere affinché l’Europa, nel Consiglio europeo di due giorni fa, dimostrasse il suo essere solidale con l’Italia non abbandonando ogni criterio di obbligatorietà nella ripartizione delle quote e alla fine della giornata di ieri è chiaro a tutti che la strategia dei finti fuochi d’artificio – fatta di non emergenze trasformate in emergenze, di piccoli problemi trasformati in grandi problemi, di alleanze sbagliate trasformate in alleanze strategiche – può essere considerata un successo per l’Italia solo sulla base di una interpretazione, come dire, molto volontaria. Ma se si vuole guardare con un minimo di razionalità alla traiettoria pericolosa imboccata dalla coppia Di Maio-Salvini non si può fare a meno di notare che anche su questo fronte le cose sono chiare: il governo della discontinuità quando prova a declinare la sua discontinuità rischia di peggiorare i guai del nostro paese, e per provare a migliorare le condizioni dell’Italia i teorici del cambiamento sanno che prima o poi su tutti i principali temi che riguardano il futuro dell’Italia si dovrà trovare un modo per nascondere il proprio inevitabile cambiamento di programma. Vale sulla gestione dei migranti – i paesi nemici dell’Europa non sono solo nemici dell’interesse dell’Europa ma sono nemici anche dell’interesse dell’Italia – ma vale anche su molto altro. Vale quando si parla di economia, di politica estera, di sanzioni, di Libia, di flessibilità, di debito, di Macron, di pensioni. Su gran parte di questi punti, il governo del cambiamento aveva promesso un cambiamento di programma rispetto al passato ma sistematicamente, una volta spente le luci dei talk-show, l’unico cambiamento messo in campo è stato quello della propria agenda di governo.

 

In Economia, il ministro Giovanni Tria, Dio lo benedica, ha promesso continuità con la linea dell’attenzione ai conti e al deficit portata avanti dal suo predecessore Pier Carlo Padoan. Sulla politica estera, l’Italia ha ratificato al Consiglio europeo il rinnovo di quelle sanzioni sulla Russia che Salvini e Di Maio avevano promesso che non avrebbero mai rinnovato. Sulla Libia, Salvini ha dovuto ammettere che per governare l’immigrazione in Africa non c’è scelta che essere in continuità con una linea del passato che prevede una triangolazione non con l’uomo di Putin in Libia, Haftar, ma con l’uomo dell’Europa, Serraj, e anche rispetto alle missioni militari precedenti, dai sopralluoghi al sud della Libia al ruolo dei nostri soldati in Niger, stessa storia: continuità-tà-tà.

 

Lo stesso vale per la legge Fornero, che non verrà smantellata, perché smantellare una legge che ha evitato lo sfascio dell’Italia significa voler sfasciare l’Italia, e lo stesso alla fine varrà per il Jobs Act che, al netto delle promesse camussiane di Di Maio, alla fine la Lega non si può permettere di cambiare, pena la perdita di contatto con il suo elettorato produttivo del nord Italia. Potremmo parlare anche della flat tax, rinviata a chissà quando (zeru soldi, zeru tituli), e potremmo anche parlare del reddito di cittadinanza, che, se mai verrà realizzato (zeru soldi), verrà fatto giocando con strumenti già esistenti come il reddito di dignità. Ma quella che esce dal Consiglio europeo è, a pensarci bene, una lezione che dovrebbe suonare come definitiva per le orecchie dei sovranisti all’amatriciana. Sulle cose che contano, quando cioè c’è in ballo la credibilità di un paese, il suo interesse nazionale, la sua collocazione in Europa, la sua affidabilità sui mercati, il presidio dei suoi confini, la discontinuità è affascinante ma anche pericolosa mentre la continuità è dolorosa ma anche necessaria. E quando l’Italia mostra incredulità di fronte alle dichiarazioni con cui il presidente francese Emmanuel Macron spiega che le regole del trattato di Dublino restano invariate e che di conseguenza i centri su base volontaria riguardano solo i paesi di approdo dei rifugiati sarebbe utile non prendersi in giro: gli alleati scelti finora dall’Italia per risolvere i suoi problemi con l’Europa (Ungheria, Austria, Polonia, i veri vincitori del vertice del 27/28 giugno) sono quelli che più di tutti rischiano di peggiorare le condizioni dell’Italia. E senza cambiare programma anche in Europa – dove nel frattempo grazie all’ottimo sistema di alleanze costruito dal nostro governo siamo passati con successo dal “prima gli italiani” a “prima gli anti italiani” – il nostro paese continuerà a lavorare non solo contro l’Europa ma anche contro l'interesse nazionale dell’Italia. Un’Europa senza Italia è un’Europa più debole. Ma un’Italia senza Europa è un’Italia che non ha futuro. E a forza di fare i sovranisti con il culto degli altri sovranisti, l’Italia è destinata a fare l’unica cosa che non si può permettere: non prendere tempo, ma semplicemente continuerà a perdere tempo. Meglio fermarsi, prima che sia troppo tardi.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.