Protesta anti-Trump al confine tra Messico e Stati Uniti (foto LaPresse)

“Sono un immigrato e mia moglie è una immigrata. Ma il dibattito è irrazionale”

Niall Ferguson spiega, sul Times, che l’immigrazione rende il mondo più ricco e tuttavia le frontiere aperte a priori sono insensate

“Sono un immigrato – uno legale. Per sedici anni ho passato da una serie di visti di lavoro, ho acquisito una carta verde, ho sposato una cittadina americana (lei stessa un’immigrata) e ho superato il test di cittadinanza, e in soli diciotto giorni farò il giuramento di naturalizzazione, accompagnato da mia moglie e dai nostri due figli americani”. Così scrive Niall Ferguson.

 

Dal 2002, io e alcuni membri della mia famiglia siamo entrati negli Stati Uniti. Occasionalmente, quelle traversate sono state irte. Una volta, prima che ottenesse la sua carta verde, mia figlia di origine britannica è stata trattenuta dagli agenti dell’immigrazione, che dubitavano della sua storia che stesse visitando suo padre. Erano ore dolorose. Quindi posso capire la grande ondata di indignazione morale che ha travolto gli Stati Uniti e il mondo la scorsa settimana sulla separazione dei genitori in cerca di asilo dai loro figli al confine tra Stati Uniti e Messico. Posso anche simpatizzare con i genitori, la maggior parte dei quali proviene da paesi dell’America centrale poveri e violenti. Mia moglie è stata una richiedente asilo da un paese povero e violento. Il suo principale motivo per lasciare la Somalia per l’Olanda (attraverso il Kenya e la Germania) era evitare un matrimonio combinato con un uomo che conosceva a malapena. Sapendo che questo non era un motivo sufficiente per ottenere l’asilo, ha sottolineato la guerra civile nel suo paese. Allo stesso modo, a prescindere dalle loro vere motivazioni, i richiedenti asilo di oggi dall’Honduras e dal Guatemala sanno raccontare la violenza da cui stanno fuggendo. Questo è stato più facile dal 2009, quando i tribunali hanno iniziato ad accettare che le vittime di violenza domestica avessero diritto all’asilo. A quelli di voi che vivono felicemente nel paese in cui siete nati, rivolgo un appello per l’empatia e anche il realismo. Un mondo senza migrazione transfrontaliera sarebbe un mondo più povero. Un esempio banale: questo scozzese non avrebbe mai incontrato una somala di lingua olandese, e i loro due deliziosi figli non esisterebbero. Né avremmo pagato tutte quelle tasse al Tesoro degli Stati Uniti. Quindi la domanda non è se fermare la migrazione ma come gestirla. Da quelli di voi che considerano ingiusta qualunque regolamentazione sull’immigrazione – che vuole che gli immigrati clandestini siano trattati allo stesso modo di quelli che seguono le regole – chiedo razionalità. Le frontiere totalmente aperte non sono un’opzione sensata per nessun paese. E paragoni fra l’attuale governo degli Stati Uniti e i nazisti – che perseguitavano gli ebrei tedeschi nativi privandoli della loro cittadinanza, prima i loro diritti, poi le loro proprietà e infine le loro vite – sono assurde. No, Donald Trump non è Adolf Hitler. Il problema di cosa fare esattamente con le famiglie in cerca di asilo precede Stephen Miller (consigliere di Trump, ndr) di circa due decenni. Fu nel 1997 che venne emesso un decreto, noto come l’accordo Flores, che proibisce alle autorità di immigrazione degli Stati Uniti di tenere i bambini in custodia – anche con i loro genitori – per più di 20 giorni. Dato che impiega fino a 50 volte di più per giudicare le domande di asilo, le autorità lasciano andare le famiglie (la maggior parte scompare nell’esercito invisibile dei non documentati) o cercano di separare i genitori dai bambini. L’ultima volta che la questione è emersa, nel 2014, l’Amministrazione Obama ha gettato la spugna. Rimango convinto che le famiglie che cercano di entrare negli Stati Uniti siano trattate peggio di quelle che cercano di entrare nella Ue. Non è un problema americano. E’ un problema globale. Secondo un sondaggio Gallup di un anno fa, più di 700 milioni di adulti in tutto il mondo vorrebbero trasferirsi permanentemente in un altro paese. Di questo vasto numero, più di un quinto (21 per cento) afferma che la prima scelta sarebbe quella di trasferirsi negli Stati Uniti. La percentuale che nomina un paese della Ue come destinazione dei suoi sogni è più alta: il 23 per cento. Come ho detto, hanno la mia solidarietà. Amo la Scozia, il paese in cui sono nato, ma non era dove volevo passare la mia vita. Quello che non ho fatto è stato saltare su una barca con i miei bambini con l’intenzione di rimanere in America anche se la mia richiesta di asilo fosse stata respinta. ‘Un immigrato senza documenti non è un criminale’, ha affermato la senatrice Kamala Harris. Mi dispiace, ma è sbagliato, così come è sbagliato per le autorità locali sfidare il governo federale istituendo ‘città rifugio’. Una politica d’immigrazione in frantumi non può essere riparata dagli ordini presidenziali. La costituzione afferma chiaramente che questo è un lavoro del Congresso. Questa è una delle cose che impara un cittadino americano appena nato. Sono i giornalisti, con la loro dipendenza dall’iperbole e dalla cattiva storia, che sembrano averlo dimenticato”.

(traduzione di Giulio Meotti)

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