Malgorzata Gersdorf (foto LaPresse)

Chi è il giudice che sfida la legge contro la magistratura polacca

Micol Flammini

La legalità di ieri non è la legalità di oggi in Polonia. La Corte suprema sottomessa al controllo del governo

Roma. La legalità di ieri non è la legalità di oggi in Polonia, dove è entrata in vigore la legge che sottomette la Corte suprema al controllo del governo, il potere giudiziario al potere esecutivo, contro ogni raccomandazione che a partire da Montesquieu ha favorito la formazione dell’Europa democratica. Chi ha ragione? Il presidente della Corte suprema Malgorzata Gersdorf, che avrebbe dovuto ricoprire il suo incarico fino al 2020, ma che oggi è stata mandata in pensione, o il presidente Andrzej Duda che quella norma l’ha approvata e in quanto presidente ha la facoltà di approvare o respingere le leggi? La riforma che il PiS, il partito nazionalista Diritto e giustizia, stava cercando di applicare dal 2015, anno in cui è arrivato al governo, mira a imporre il controllo dell’esecutivo sui giudici della Corte suprema costringendo 27 dei 74 magistrati che ne fanno parte a ritirarsi prima della scadenza del loro mandato. Il PiS ha definito i giudici inefficienti perché legati alla vecchia classe comunista. Il numero inoltre verrà aumentato a 120 e sarà il governo a decidere le nuove nomine. Ad andarsene saranno i 27 giudici che hanno più di 65 anni, tra i quali la Gersdorf. “L’ex presidente Gersdorf è un giudice e rappresenta la legge – ha detto un deputato del PiS intervistato dal quotidiano Gazeta Wyborcza – Ma se rappresenta la legge deve capire che la legge adesso è cambiata”. Quando oggi Duda ha convocato la Gersdorf, gli altri membri della Corte, firmatari di un documento in cui si impegnano a riconoscerla come presidente fino allo scadere del suo mandato, pensavano di essere stati ascoltati. Invece no, mentre i cittadini polacchi manifestavano e l’Europa minacciava di avviare una procedura penale contro Varsavia, Andrzej Duda è stato irremovibile: Malgorzata Gersdorf è stata mandata in pensione e al suo posto è stato nominato Jozef Iwulski.

  

“Sapete cosa rimane a un presidente della Corte suprema al quale all’improvviso viene ridotto il mandato? – aveva domandato la Gersdorf ai suoi studenti di Giurisprudenza all’Università di Varsavia questa mattina – E’ rimasta la parola”. Ma poi nel pomeriggio, dopo il suo colloquio con il presidente, mentre davanti al Parlamento esponeva la nuova legge, un atto dovuto prima di abbandonare la sua carica, avrebbe scoperto che le era stata tolta anche quella: mentre parlava, con la voce rotta forse più dal senso di impotenza che dall’emozione, il suono della campanella ha interrotto il discorso. “Non mi era stato detto che avrei avuto del tempo limitato per parlare”, commenta. “Le concediamo ancora due minuti”, dice il presidente della Camera bassa del Parlamento. Gersdorf tace e se ne va.

  

Eppure l’ex presidente della Corte suprema si sarebbe potuta salvare. Sarebbe bastato fare come altri suoi colleghi, andare da Duda e chiedere una proroga, ma, per rimanere ferma nella sua volontà di non sottomettersi al tentativo del governo di opprimere la magistratura, si era rifiutata.

  

La battaglia che la Gersdorf ha perso si sposta però nei palazzi delle istituzioni europee. In serata il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, è andato a Strasburgo per difendere davanti al Parlamento Ue la posizione della Polonia, che ha un mese di tempo per evitare che il caso venga giudicato dalla Corte di Giustizia europea. Per ora l’articolo 7, la procedura sanzionatoria che la Commissione aveva minacciato di avviare contro Varsavia per aver violato lo stato di diritto, è fermo. Frans Timmermans qualche settimana fa era andato a trovare il premier polacco e aveva parlato della possibilità di raggiungere compromessi prima di avviare l’articolo 7. Ma a Varsavia i compromessi non servono, per ora. Per procedere con le sanzioni ci vuole l’unanimità degli altri paesi europei e dentro l’Europa c’è Visegrád e dentro Visegrád c’è l’amico Viktor Orbán.

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